Almeno durante le Feste bisogna saper cogliere gli aspetti positivi della vita. Ad esempio il fatidico 14 dicembre, tra tante nefandezze, ha riportato in auge alcuni edificanti temi evangelici. Primo fra tutti il ritorno del figliol prodigo celebrato (contestualizzandolo) in pompa magna dal Cardinal Bagnasco, lieto di riaccogliere nella sua magione (spirituale) Berlusconi (con il codazzo di Maddalene tanto per testimoniare un’ancora più fervida carità cristiana). L’unica discrasia rispetto alla parabola è il conto del vitello più grasso che nel caso presente verrà addebitato ai contribuenti. Invece Moffa e le sue due compagne di piroette si sentiranno come quelle pecorelle smarrite a cui il Buon Pastore non lesinerà amorevoli cure. Purtroppo non tutti i temi evocati dal 14 dicembre risultano edificanti: la Corte Costituzionale, ad esempio, ha celebrato un rito pilatesco di rara suggestione, immergendo 30 mani in un capiente catino.

Non potevamo sapere
Ancor meno edificante è l’evocazione di Giuda che ricorre nelle cronache e negli strascichi del 14 dicembre. Non che questa figura fosse mai stata estranea alle polemiche politiche, ma in quel giorno abbiamo assistito ad un indubbio salto di qualità. E soprattutto di complessità. Infatti i Vangeli, che spesso cadono in contraddizione, concordano (eccetto alcuni apocrifi, incluso ovviamente il Vangelo di Giuda) su un punto non secondario per le vicende contemporanee: secondo gli evangelisti canonici Giuda agì da solo, senza complici. Nessuno degli altri apostoli partecipò neanche indirettamente o inavvertitamente al tradimento. Chi fosse Giuda e cosa facesse prima di incontrare il Messia non è riportato nei testi sacri, quindi Gesù lo aveva accolto (affidandogli persino la gestione della cassa), un po’ incautamente.

Di Pietro invoca l’analogia con il Messia come attenuante per avere imbarcato gli epigoni dell’Iscariota. Anzi dice esplicitamente (vedasi l’intervista a Repubblica TV) che Razzi e Scilipoti per dieci anni non avevano dato alcun motivo di dubitare della loro fedeltà. Dice il leader dell’IdV al 28mo minuto del filmato (subito dopo la Litizzetto) “Nel merito è [sic] dieci anni che questi stavano con noi. Fino a dieci giorni prima per dieci anni, per cinquemila volte, hanno votato come abbiamo votato noi, ne hanno dette di tutti i colori come ne abbiamo dette noi, erano dipietristi più di Di Pietro. Voglio dire è possibile che uno si ammala improvvisamente, politicamente parlando [sic] …. E’ vero col senno di poi avrei fatto bene a non prenderli …”.

Quindi, mentre Gesù poteva contare su un track record di soli tre anni, secondo Di Pietro, Razzi e Scilipoti avevano rigato dritto per un arco temporale molto più ampio. Ma quanto dritto? L’On. Sonia Alfano ha pubblicato qui su il Fatto online un post pochi giorni dopo il voto di fiducia in cui solleva dei dubbi sulla decennale verginità politica di uno dei due transfughi.

Chi custodisce i custodi?
Innanzitutto, Scilipoti asseriva che fosse ora di “finirla di parlare di mafia”. Già queste affermazioni qualche pulce fastidiosa nell’orecchio avrebbero dovuto inserirla. Ma si apprende nel post che Scilipoti era stato assessore, per un breve lasso di tempo nel 2002, nella giunta di un’amministrazione comunale sciolta per infiltrazioni mafiose nel 2005. E questa informazione non sarebbe dovuta sfuggire ai vertici del partito sia a livello nazionale sia a livello locale (tra cui spicca Leoluca Orlando che su questioni di mafia vanta qualche esperienza).

Per andare al sodo, l’elezione in Parlamento con l’attuale legge elettorale implica essere di fatto nominati dai vertici del partito. La competizione, o se si preferisce la lotta, per le prime posizioni  è ovviamente sempre serrata e non è affatto casuale che qualcuno finisca nella posizione numero 2 piuttosto che nella posizione numero 20. E’ una scelta precisa dei vertici. Il post dell’on. Alfano solleva quindi alcune domande precise. Come viene deciso l’ordine di lista nell’IdV? Chi ha messo la firma sotto le liste presentate in Tribunale? Chi le ha approvate negli organismi di partito? A chi era stato assegnato il compito di vigilare sul curriculum dei candidati e di vagliarne i trascorsi? Gli organi regionali? Quelli nazionali? E qualcuno si è premurato di fare domande in giro visto che le informazioni su Scilipoti erano di pubblico dominio? Ovvero le domande sono state fatte, ma le risposte ignorate? E quando sono stati proclamati gli eletti, i capigruppo sono andati a spulciare nel passato degli onorevoli?

Coltellate alle spalle o harakiri?
La lettera di De Magistris, Alfano e Cavalli chiede di accendere un riflettore proprio su questi aspetti in un’ottica generale, non tanto, credo io, per tirare coltellate alle spalle come sembra lamentarsi l’on. Donadi, ma per evitare che certe distrazioni (a voler essere benevoli) non si ripetano. Nessuno è esente da errori, ma l’onestà si misura proprio dalla volontà di individuare, ammettere e soprattutto correggere tali errori. Al contrario dell’apostolo traditore, quelli annidati nell’IdV hanno potuto contare per lo meno su qualche svista. Insomma, senza troppi giri di parole, sarebbe doveroso verso gli elettori indicare chi ha posto il nome di Scilipoti & Co. in cima alla lista elettorale e con quale motivazione. Possibile che tra i membri dell’IdV non ci fosse qualcuno più degno di un personaggio coinvolto in vicende poco chiare? Per un partito che annovera tra i suoi leader fior di ex magistrati non dovrebbe essere difficile verificare queste circostanze senza evocare rese dei conti, ma con l’intento di riflettere sulle misure correttive. Se fossi nei panni dei maggiorenti dell’IdV, non sarei troppo propenso ad evocare fantasiose coltellate alle spalle, mentre concentrerei l’attenzione sullo spettacolare harakiri che si rischia di commettere.

Basta andare a guardare i risultati del sondaggio promosso da Micromega (pur senza pretese di accuratezza nella selezione del campione) dove circa l’80% di chi risponde nutre seri dubbi sulla gestione dell’IdV e quindi, anche senza discutere il merito delle scelte politiche, giudica severamente il metodo di gestione interna. Quindi, senza drammi, senza sdegni fuori luogo, senza accuse di lesa maestà nei confronti di alcuno, con tutta la serenità possibile va detto che di fronte ad una reazione così massiccia per uscire dal tunnel non basta qualche sforbiciatina alle code di paglia. Bisogna aprire balconi e finestre per fare entrare aria fresca e raggi di sole dove si prendono le decisioni e disinfettare le piaghe a livello locale che rischiano di infettarsi.

In sintesi, per sgombrare il campo una volta per tutte da veleni, sospetti, mal di pancia e recriminazioni varie sarebbe il caso di cominciare a percorrere una via maestra già autorevolmente indicata: visto che l’IdV si appella alla “società civile” sarebbe ora di indire elezioni primarie per tutte le candidature, a partire dalle prossime elezioni amministrative.

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