L’ultimo post di Andrea Aparo ha aperto un dibattito stimolante sul rapporto tra la Rete, la memoria e l’oblio nonché sulla possibilità e l’opportunità di governare, per legge, il fenomeno della inossidabile memoria di Internet.

Si tratta di una riflessione che impegna, ormai da anni, sociologi, storici e giuristi di tutto il mondo.

“Dimenticare è umano ma Internet non vuole dimenticare”, scrive, Viktor Mayer Schonberger, Direttore dell’Information and Innovation Policy Research Centre dell’Università di Singapore nel suo “Delete: the virtue of forgetting in the digital age” da poco uscito per i tipi della Princeton University Press.

Mayer Schonberger non ha esitazioni nel ritenere che occorre evitare che la Rete aiuti a ricordare troppo a lungo e che sia indispensabile recuperare la capacità di dimenticare i fatti del passato perché proprio tale attitudine gioca, da sempre, un ruolo fondamentale nelle scelte personali, professionali e politiche dell’umanità.

Analoga convinzione, dall’altra parte del mondo, ha espresso, con una battuta, in un’intervista su Le Monde di qualche mese fa Alex Turk, Presidente della CNIL, la Commissione Nazionale dell’informatica e delle libertà: “Io credo di avere mostrato i miei glutei a San Nicola nel 1969. Da allora non l’ho più fatto e non vorrei che quell’episodio mi perseguitasse ancora!”.

Secondo il Presidente della CNIL sarebbe necessario reintrodurre nel contesto digitale una funzione naturale quale l’oblio che, a suo dire, renderebbe la vita sopportabile.

Il problema, d’altro canto, è già approdato nel nostro Parlamento ed in quello francese.

Nel nostro Paese è da poco stato presentato alla Camera dei Deputati, un progetto di legge che si propone di disciplinare il c.d. diritto all’oblio in Rete prevedendo “che, decorso un lasso temporale, variabile a seconda della gravità del reato, e salvo che risulti il consenso scritto dell’interessato, non possano più essere diffusi o mantenuti [n.d.r. online] immagini o dati, anche giudiziari, che consentano, direttamente o indirettamente, l’identificazione della persona già indagata o imputata, sulle pagine Internet liberamente accessibili dagli utenti oppure attraverso i motori di ricerca esterni al sito web sorgente“.

L’interessato – ovvero la persona cui i dati personali si riferiscono – secondo il disegno di legge Lussana, trascorso un certo intervallo di tempo dal verificarsi di taluni eventi giudizialmente rilevanti, dovrebbe avere il diritto di richiedere “ai siti Internet ed ai motori di ricerca” la rimozione delle immagini e delle informazioni che lo riguardano.

Salvo talune eccezioni legate alla particolare notorietà o qualità degli interessati, in altre parole, chiunque in forza della proposta che verrà discussa nei prossimi mesi – salvo che la legislatura abbia prematuramente termine – in Parlamento, dovrebbe poter decidere quali informazioni che lo riguardano potranno essere tramandate ai nostri posteri ed alla storia attraverso i giornali online, la blogosfera, le piattaforme di socialnetwork, gli UGC ed ogni altra fonte di informazione via web.

L’idea è, dunque, quella di accorciare la memoria della Rete ogni qualvolta questo fosse il desiderio del soggetto protagonista, in negativo o in positivo, di fatti che abbiano avuto un qualsivoglia risvolto giudiziario e che siano, pertanto, legittimamente rimbalzati agli onori delle cronache.

Anche il legislatore francese, negli ultimi mesi, ha deciso di farsi carico del problema del diritto all’oblio in Rete nell’ambito di un più ampio ammodernamento della disciplina sulla privacy finalizzato a riconoscere maggiori strumenti e garanzie a quello che nella relazione di accompagnamento alla proposta di legge presentata dai Senatori Détraigne e Escoffier viene definito l’homo digitale, discendente dell’homo sapiens.

La filosofia cui sembra ispirarsi la soluzione francese è, tuttavia, diversa da quella alla base dell’iniziativa legislativa italiana: in Francia non si muove dal presupposto che la Rete debba avere una memoria più corta ogni qual volta ciò sia desiderato dall’interessato ma che la memoria della Rete – per restare alla metafora – possa essere accorciata dietro ordine del Giudice laddove questi, su istanza dell’interessato, ritenga che non vi sia più – o non vi sia mai stato – un interesse pubblico all’accessibilità a mezzo motori di ricerca di una determinata informazione e, comunque, che la rimozione di un determinato risultato dai motori di ricerca non sia suscettibile di precludere la libertà di informazione.

Decisamente più ragionevole che in Italia, ma nulla che consenta di ritenere risolta la vera questione sullo sfondo: è giusto, auspicabile e possibile accorciare per legge la memoria della Rete?

Il diritto all’oblio nella nozione tradizionale si traduce in un divieto di riproposizione di fatti del passato in relazione ai quali non sussiste più un interesse pubblico alla loro conoscenza mentre in Rete le moderne rielaborazioni di tale concetto sembrano andare in una direzione diversa traducendo il diritto all’oblio in termini diritto ad espropriare la storia di taluni episodi.

Credo sia molto diverso perché l’esasperazione di tale moderno approccio al diritto all’oblio, probabilmente figlio di una tecnofobia diffusa e dell’incapacità dei più di guardare ad Internet come la protagonista di una delle più grandi rivoluzioni socio-culturali della storia dell’umanità rischia di far sì che, domani, la nostra storia sarà raccontata non più attraverso gli occhi attenti e rigorosi degli storici e degli osservatori ma, piuttosto, secondo i desiderata dei suoi protagonisti positivi e negativi.

Non so dire se sia un risultato auspicabile né so dire se sia davvero giusto che il singolo possa pretendere che la comunità globale cancelli il suo passato per offrirgli una seconda possibilità che ne prescinda o, piuttosto, sia giusto che il singolo si conquisti e ritagli il suo posto nella sua comunità di appartenenza o in quella globale nonostante il suo passato quale che esso sia.

E se domani attraverso un normale processo di evoluzione darwiniana l’uomo acquisisse l’attitudine a ricordare più a lungo di quanto non sappia fare sin qui? Sarebbe lecito imporgli per legge di dimenticare o, magari, perseguire tale risultato attraverso un siero dell’oblio?

La questione è complessa e le sue implicazioni trascendono gli interessi dei singoli.

Siamo nel momento della riflessione, dell’approfondimento e della ricerca e, pretendere di dettare ora regole che abbiano l’ambizione di accorciare la memoria della Rete sarebbe un errore come un errore sarebbe stato privarci della possibilità di usare liberamente alcune delle più grandi invenzioni e scoperte della storia come il fuoco, la ruota, il telefono o piuttosto il motore a scoppio.

Certo ogni novità ha introdotto grandi vantaggi ed altrettanto grandi rischi e problemi che hanno inesorabilmente segnato la storia degli uomini ma il progresso è parte integrante della nostra vita e non ne costituisce un orpello del quale possiamo decidere di far a meno a cuor leggero.

Il mio pensiero – ma è un pensiero che va ponderato, approfondito e riflettuto – è che non sia il diritto all’oblio la chiave di volta del nuovo equilibrio da ricercare tra le potenzialità mnemoniche della Rete ed il diritto dei singoli alla propria privacy quanto, piuttosto, l’esigenza che le informazioni di ciascuno di noi in Rete non siano tessere della nostra personalità alla deriva ma, al contrario, siano tra loro quanto più possibile interconnesse e collegate nello spazio e nel tempo.

Non credo si debba aver paura o vergognarsi del proprio passato che riaffiora ma, invece, è importante che ciascuno, attraverso la Rete, abbia la possibilità di essere riconosciuto nella comunità di appartenenza nell’interezza della sua personalità fatta di ciò che si è stati, di ciò che si è e di ciò che si vorrebbe essere.

Piuttosto che chiedere ai motori di ricerca di non aiutare il mondo a ricordare, quindi, credo sarebbe meglio chiedere – e forse persino pretendere nei limiti in cui il progresso lo permette o permetterà negli anni che verranno – che aiutino a ricordare in modo puntuale, preciso, integrale collegando sempre il passato al presente.

Questo non è, naturalmente, né ambisce ad essere un punto di arrivo ma solo un piccolo contributo al dibattito in corso.

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