Doppiopetto gessato grigio, lo sguardo basso, l’aria appesantita, nessuna o poca voglia di parlare: Marcello Dell’Utri si è presentato così, nell’aula del Tribunale di Palermo, dove si avvia alla conclusione il processo d’appello che lo vede imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, dopo la condanna a 9 anni di reclusione in primo grado. Un’udienza importante, quella di ieri, durante la quale la Corte avrebbe dovuto decidere se accogliere la richiesta avanzata dall’accusa di ammettere la testimonianza di Massimo Ciancimino. Prima la sfilata dei quattro avvocati della difesa, Sandro Sammarco, Giuseppe Di Peri, Antonino Mormino e Pietro Federico; poi, un po’ a sorpresa, l’arrivo del senatore. “Ci sarà tempo”, l’unica risposta ai cronisti che gli chiedevano dei suoi rapporti con il figlio dell’ex sindaco di Palermo, don Vito, o se avesse voluto rilasciare una qualche dichiarazione.

“Questo signore è un collaboratore? O non lo è? Perchè noi non lo conosciamo”, ha esordito la difesa davanti alla Corte, chiedendo naturalmente che Ciancimino non venisse ammesso come testimone. “Prima di esporre una compiuta valutazione, vorremmo avere una completezza informativa”.

E a proposito del “pizzino”, o meglio il “bigliettino” come lo hanno chiamato, che l’allora capo di Cosa Nostra Bernardo Provenzano avrebbe inviato a Silvio Berlusconi: “Non è stato depositato, non l’abbiamo mai visto – hanno spiegato gli avvocati di Dell’Utri –  e in ogni caso è un documento incerto, nel quale ci si rivolge al presidente del Consiglio chiamandolo onorevole, quando in quegli anni (1991-1994, ndr) era un semplice imprenditore”. Poi, un invito diretto al presidente della Corte Claudio Dall’Acqua: “Apprendiamo dalla stampa ciò che racconta questo signore. Non si può costruire un’accusa sulla base di articoli di giornale”.

“Ci sembra scontato che i processi non si facciano con le notizie di stampa – ha ribattuto con evidente ironia il procuratore generale Antonino Gatto appena presa la parola – pensavamo che la Corte si dovesse pronunciare prima sull’ammissibilità del testimone, poi naturalmente avremmo prodotto il documento”. Lo stesso timbro di voce, la stessa gestualità di Paolo Borsellino, cui era molto legato, un’affidabilità che gli viene riconosciuta dalla stessa difesa, Gatto ha poi spiegato come in primo grado furono sì acquisite alcune interviste ma dopo aver sentito come testimoni i giornalisti le che realizzarono.

Poi, la Corte si è ritirata in Camera di Consiglio, 40 minuti circa, più di quanto ci si aspettasse. “Dall’esame del contenuto dei due verbali di interrogatorio di Massimo Ciancimino emerge un quadro confuso e oltremodo contraddittorio”. Quindi, il teste non può essere ammesso. Soprattutto perchè, secondo la Corte d’Appello, dalle dichiarazioni rese finora da Ciancimino non emergono condotte e fatti riconducibili a Dell’Utri che siano suscettibili di utile rilievo e apprezzamento processuale”.

Come a dire che se il teste fosse stato ammesso in aula, avrebbe raccontato molte più cose di quante sino a questo momento non siano venute fuori. Dall’Acqua, che celebra a Palermo l’ultimo processo prima del suo trasferimento a Caltanissetta, ha letto alcuni stralci degli interrogatori di Massimo Ciancimino davanti alla Procura di Palermo. E in particolare proprio quel “pizzino” che chiama in causa Silvio Berlusconi.

Poi ha chiesto all’accusa di iniziare subito la requisitoria, “per dare una svolta al processo”. Cosa che è avvenuta, per terminare pochi minuti dopo, quando il pubblico ministero ha ottenuto un rinvio dell’udienza al prossimo 25 settembre, per poi concludere il 16 ottobre con le richieste. Il calendario processuale prevede l’avvio delle arringhe difensive il 23 ottobre, per poi terminare dopo cinque udienze l’11 dicembre.

di Sandra Amurri e Silvia D’Onghia

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