Ricevo or ora una clip sconvolgente con questa nota di accompagnamento: “Ignorato (per non dire oscurato) dal sedicente servizio pubblico televisivo del nostro Paese, circola da giorni in rete un video inquietante che mostra l’uccisione del quinto terrorista del commando Isis a Cambrils Actua, volutamente ammazzato, benché visibilmente implorante e verosimilmente disposto ad arrendersi“.

I cultori del taglione inneggeranno ancora una volta al grido “giustizia è fatta”, qualcuno meno fanatizzato potrebbe osservare – a prescindere da ogni altra considerazione – che, in luogo dell’esecuzione sul posto, sarebbe stato ben più conveniente arrestare l’ultimo componente della cellula maghrebina che ha insanguinato Barcellona e fargli vuotare il sacco; per ricavarne informazioni ad alto valore d’intelligence, magari utili a prevenire nuovi episodi luttuosi.

Il fatto è che la vicenda terroristica continua a essere avvolta in una bolla di totale disinformazione, gratificante per chi abbisogna di rassicuranti certezze che lo confermino nelle rappresentazioni standard della fenomenologia jihadista; non meno funzionale ai disegni di chi vuole proseguire nella militarizzazione delle società occidentali, coniugata con il disinnesco dei diritti democratici.

Il divo dell’estate italiana, il politico con il massimo score in quanto ad apprezzamento pop è il ministro dell’Interno Marco Minniti; l’antico sodale di Francesco Cossiga aureolato dal merito di aver ridotto i flussi di immigrati verso le nostre coste. E guai a chi glielo tocca ai mazzieri dello scontro di civiltà, difensori dell’ipotetica purezza dell’italica etnia (tipica di un Paese attraversato da millenari flussi migratori, produttivi di infiniti incroci razziali), specie ora che l’azione dell’ex Lothar dalemiano ha incassato persino il plauso di Bruxelles e degli eurocrati.

Forse sarebbe poco elegante osservare come la platea continentale apprezzi il fatto che gli italiani, seppure con qualche ritardo, abbiano clonato la strategia tedesca; quelli negoziando con il boia turco Tayyip Erdoĝan, noi relazionandoci con le feroci organizzazioni criminali libiche: ossia pagare questi aguzzini perché svolgano il compito detentivo di confinare i migranti in campi di concentramento; nella convinzione di poter seppellire sotto una pietra tombale i movimenti in corso di interi popoli. Nella risibile distinzione tra rifugiati e migranti “economici” (come se cercare rifugio da carestie e morte certa per fame fossero motivazioni spregevoli).

Staremo a vedere se sarà possibile risolvere un fenomeno di questa entità cancellandolo con un semplice tratto di penna. Comunque e sempre senza farsi troppe illusioni che le ampie platee di odiatori a comando, quelli che si sentono offesi dalla sola vista di umani con la pelle tre tonalità più scure della propria e giungono a minacciare un prete di Pistoia reo di coltivare umanità, tutta questa canea che disdegna l’epiteto di xenofobo, in quanto dressati adeguatamente dagli imprenditori della paura, trovi disdicevole che le nostre istituzioni foraggino bande spietate.

 

Del resto, un dato dei tempi: come ormai è completamente saltata la linea divisoria tra l’economia legale e quella malavitosa (dai paradisi fiscali e le banche del riciclaggio alle commistioni usurarie tra mafie e imprese), allo stesso modo nessuno ora ha più da ridire se le istituzioni delegano in maniera manifestamente palese i lavori sporchi a soggetti con cui – in passato – decenza o ipocrisia avrebbero consigliato di mantenere le distanze: le guerre occultate e negate ai contractors, i private soldiers, l’accumulazione di ricchezza alla finanza di rapina, le operazioni di polizia per il contenimento dei migranti agli stessi scafisti; presi a libro paga per bloccare le nuove zattere della Medusa. Magari premessa di futuri ricatti.

Nell’apparente ordine che si sta ricreando, ci sono tutte le contraddizioni esplosive di una società incanaglita dall’esproprio di verità di cui è vittima. Che, in conseguenza di una “sindrome di Stoccolma” dilagata a livello di massa, è pure riconoscente nei riguardi dei propri espropriatori.

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