al salario minimo, nonostante il “paradossale” no dei sindacati, per rispondere alle esigenze di “quel crescente numero di lavoratori che sfugge alle maglie della contrattazione”. E sì anche all’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita: bloccare questo meccanismo a partire dal 2019, come chiesto sempre dai rappresentati dei lavoratori, “non è una misura a favore dei giovani” perché i costi si “scaricherebbero sui nostri figli e sui figli dei nostri figli”. Ma, mentre a Bruxelles andava in scena uno scontro sull’accoglienza a profughi e migranti economici, il presidente dell’Inps Tito Boeri nella sua relazione annuale al Parlamento ha insistito in particolare sui 38 miliardi che la chiusura delle frontiere agli immigrati potrebbe costare all’Italia.

Cifre che emergono da una simulazione fino al 2040, dalla quale emerge che avremmo 73 miliardi in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate ai cittadini extracomunitari “con un saldo netto negativo di 38 miliardi”. Insomma, dice Boeri, “una manovrina in più da fare ogni anno per tenere i conti sotto controllo“. E oltre a questo, Boeri sottolinea come “chiudendo le frontiere che rischiamo di distruggere il nostro sistema di protezione sociale“.

Le conseguenze della chiusura delle frontiere – “Nel triennio precedente alla crisi – evidenzia Boeri – circa 150mila lavoratori immigrati cominciavano a versare contributi ogni anno mentre il 5% dello stock di lavoratori immigrati (circa 100mila persone) uscivano dal nostro mercato del lavoro. Nella nostra simulazione la popolazione dei contribuenti immigrati si riduce mediamente ogni anno di circa 80mila persone nei prossimi 22 anni. Abbiamo ipotizzato una retribuzione annua di ingresso di 2.700 euro, molto inferiore a quella dei lavoratori italiani (gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non vogliono più svolgere), poi crescente no a un massimo di 9.500 euro al termine della carriera. Abbiamo guardato tanto al gettito contributivo che alle spese associate a prestazioni destinate agli immigrati (pensioni, prestazioni a sostegno del reddito, assegni al nucleo famigliare, invalidità civile)”.

No allo stop dell’adeguamento dell’età di pensionamento all’aspettativa di vita – Tra i punti del rapporto anche il possibile stop nel 2019 all’adeguamento all’aspettativa di vita per la pensione di vecchiaia, che “non è una misura a favore dei giovani” perché i costi si “scaricherebbero sui nostri figli e sui figli dei nostri figli”. Sarebbe meglio – spiega – fiscalizzare (cioè trasferito a carico dello Stato) una parte dei contributi all’inizio della carriera lavorativa per chi viene assunto con un contratto stabile. Boeri avverte anche sul sensibile calo del reddito potenziale delle donne lavoratrici (-35% nei primi due anni dopo la nascita del figlio), soprattutto fra le donne con un contratto a tempo determinato, perché provoca lunghi periodi di non-occupazione. Come conseguenza, la crisi “ha fortemente ridotto le nascite (-20% nel Nord del paese)”. I costi della genitorialità, aggiunge la relazione, “potrebbero essere fortemente contenuti non solo rafforzando i servizi per l’infanzia, ma anche e soprattutto promuovendo una maggiore condivisione della genitorialità“.

Pensionati con meno di mille euro al mese – Sono circa 5,8 milioni i pensionati che non arrivano a 1000 euro al mese. Nel dettaglio, al 31 dicembre 2016, sono 1,68 milioni quelli che percepiscono un assegno sotto i 500 euro al mese, il 10,8% del totale, e 4,15 milioni quelli che si fermano a 999 euro mese, il 26,7%. Il 21,8% invece, circa 3,38 milioni di pensionati non superano quota 1.500 mentre il 17,9%, circa 2,78 milioni, percepiscono assegni fino a 1999 euro al mese. Sono invece il 10,6%, circa 1,6 milioni, quelli che possono godere di una pensione poco sotto i 2.500 euro mentre a percepire assegni di poco meno di 3000 euro sono il 5,4% del totale dei pensionati, 845mila persone. Il 6,8% infine, poco più di un milione di pensionati, riceve una pensione oltre i 3 mila euro al mese.

Reddito d’inserimento –  “Il Rei, Reddito di inserimento, destinato a prendere forma nel 2018, è sicuramente un passo in avanti rispetto alle tante misure parziali introdotte negli ultimi anni, ma è ancora una misura basata su condizioni categoriali arbitrarie: presenza in famiglia di un componente minore oppure di una persona con disabilità, di una donna in gravidanza o di un disoccupato con più di 55 anni. Queste condizioni contribuiscono a contenere la spesa, ma possono finire per escludere molte persone bisognose di aiuto”. “L’obiettivo, invece, deve essere quello di offrire un sostegno a tutti quelli che ne hanno davvero bisogno, il cui accesso è dunque condizionato unicamente ad una prova dei mezzi e la cui durata dipende dal comportamento del beneficiario. L’importo del REI sembra anche troppo basso: non potrà eccedere i 340 euro al mese per una persona sola, quando la corrispondente soglia Istat di povertà assoluta, anche al Sud, è superiore ai 600 euro al mese”.

Salario minimo – Boeri difende anche l’introduzione del salario minimo i cui “maggiori detrattori” sono “paradossalmente” i sindacati. “Temono – ha detto – che tolga spazio alla contrattazione collettiva. Al contrario il salario minimo copre quel crescente numero di lavoratori che oggi sfugge alle maglie della contrattazione collettiva. Quanti sono? Purtroppo non lo sappiamo. In Italia c’è un pesante deficit di informazione sulla copertura effettiva della contrattazione collettiva”. Per il presidente Inps, con l’introduzione della misura “avremmo il duplice vantaggio – dice – di favorire il decentramento della contrattazione e di offrire uno zoccolo retributivo minimo per quel crescente nucleo di lavoratori che sfugge alle maglie della contrattazione”. Boeri afferma che “le premesse ci sono” ricordando che il nuovo contratto di prestazione occasionale fissa una retribuzione minima oraria. “Di qui il passo è breve – conclude – per introdurre il salario minimo“.

Giovani – “Fiscalizzare una componente dei contributi previdenziali all’inizio della carriera lavorativa per chi viene assunto con un contratto a tempo indeterminato” secondo Boeri è l’unica strada possibile per mettere i giovani in condizione di poter accedere ad una pensione dignitosa. E certamente migliore “di molte di quelle proposte nella cosiddetta fase due del confronto governo-sindacati sulla previdenza”. No dunque, ad una pensione di garanzia, come chiedono Cgil Cisl e Uil, è in sostanza il pensiero di Boeri. Meglio la decontribuzione con cui “operare un trasferimento dai lavoratori più anziani e dai pensionati verso i giovani assicurando sin d’ora uno zoccolo minimo di pensione a chi inizia a lavorare, oltre ad incoraggiare le assunzioni a tempo indeterminato”. Ed è proprio per questo motivo, ribadisce ancora Boeri sempre rivolgendosi ai sindacati, che sul tema hanno annunciato un’azione comune, che “bloccare l’adeguamento dell’età pensionabile agli andamenti demografici non è affatto una misura a favore dei giovani. Scarica sui nostri figli e sui figli dei nostri figli i costi di questo mancato adeguamento“. D’altra parte, aggiunge, sono i “frequenti episodi di non-occupazione all’inizio della carriera lavorativa ad avere effetti molto rilevanti sulle pensioni future di chi è nato dopo il 1980 ed è perciò interamente assoggettato al regime contributivo“. Motivi questi che a maggior ragione, conclude, devono alimentare la “preoccupazione relativa alla minore appetibilità delle assunzioni con contratti a tempo indeterminato rispetto a quelli a tempo determinato, una volta che sono stati rimossi i forti incentivi contributivi del 2015″.

“Il Parlamento cambi il nostro nome” – Boeri chiede poi al Parlamento di cambiare il nome dell’Inps in Istituto Nazionale della Protezione Sociale perché l’ente non eroga più solo pensioni ma tutto un insieme di prestazioni, dal bonus mamma domani ai nuovi voucher, che disegnano una nuova missione. Una modifica a costo zero, nessun “onere aggiuntivo per la finanza pubblica” neppure la modifica dell’acronimo sulle sedi Inps, sottolinea ancora Boeri che sottolinea come ormai siano complessivamente “440 le prestazioni erogate dall’Istituto, di cui solo 150 di natura pensionistica”. Tra le prestazioni dell’istituto di previdenza, si aggiungerà fra qualche giorno la gestione in via telematica anche dei nuovi contratti di prestazione occasionale varati al posto dei voucher, dal nome Presto. Da settembre l’Inps attuerà le visite fiscali anche nel pubblico impiego e nel 2018 sarà l’ente concessorio del Reddito di Inclusione, la prima misura di assistenza sociale estesa su tutto il territorio nazionale.

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