Prendi uno che ha fatto il calciatore, suonato e cantato in un gruppo rock, lavorato come broker e come giornalista, scalato montagne molto ripide. Supponi che, dopo aver fatto tutte queste cose, questo signor calciatore-musicista-broker-giornalista-scalatore senta di non aver ancora espresso appieno il suo potenziale. A questo punto non gli resta che provare a fare qualcos’altro. Una cosa che manca alla lista. Lo scrittore, per esempio.

La storia è quella di Jo Nesbø, autore di thriller da 30 milioni di copie vendute. 57 anni compiuti da poco, nato a Oslo, è la star del noir internazionale anche e soprattutto grazie alla saga del poliziotto Harry Hole. Uno “giusto”, Harry Hole. Uno che sa come stanare un serial killer. Uno che usa logica, forza e intuizione, in proporzioni uguali. Un vizioso, Harry Hole, che fuma molto e beve bourbon Jim Beam.

O almeno, beveva. Perché nell’ultimo capitolo della saga uscito per Einaudi, Sete, Harry ha smesso di bere. Finalmente il poliziotto dallo sguardo perennemente stropicciato di chi non chiude occhio da una vita sembra aver trovato la serenità. E infatti non solo dorme, ma si sveglia pure bene. Merito della donna che sta sdraiata sul letto “a meno di un braccio da lui”. Rakel.

Hole, quindi, è felice. Tra le braccia di sua moglie, al sicuro. Lontano dalle indagini. Ma non troppo. Perché i colleghi della polizia di Oslo hanno bisogno di lui. Solo Harry può prendere il vampirista, uno che ammazza le donne servendosi di un’arma infernale e poi ne beve il sangue. “Il vampirismo è un raro disturbo ossessivo compulsivo della personalità caratterizzato da bisogno irrefrenabile di ingerire il sangue”, spiega lo psicologo Hallstein Smith alla collega di Hole, Katrine BrattUn vampirista che terrorizza Oslo. Un maniaco. Un assassino. Uno che usa Tinder per scovare le proprie vittime. Uno che detesta le donne. E le ammazza in sequenza, rapidamente, a distanza di poche ore.

E pensare che Harry aveva detto basta alle indagini. 

È un thriller che si legge restando svegli di notte, Sete di Joe Nesbø. Perché nessuno riesce a uscire dalla testa di Harry Hole, una volta che ci si ritrova dentro. Perché pagina dopo pagina, la Norvegia dell’amore e degli omicidi diventa familiare al lettore, e fa niente se i nomi dei luoghi sono incomprensibili e si fatica a ricordarseli. Figuriamoci a pronunciarli correttamente. Sapere che Harry Hole si pronuncia ArriHula, tra l’altro, è un notevole colpo all’abitudine di farselo suonare in testa detto “all’americana”. Ma tant’è. Harry Hole resta sempre lui.

E lo stile di Nesbo resta sempre asciutto, ritmato, capace di alternare ironia sghemba e tensione vischiosa. Gli elementi ricorrono, i piani narrativi si intrecciano, senza fatica. La musica, citata e mai a sproposito, fa da contrappunto alle parole. E allora si legge, fino a tarda sera. Con in testa le sembianze del killer braccato da Harry Hole. Oppure quelle di Peter Kürten, il Vampiro di Dusseldorf.  Uno che terrorizzò la città tedesca a inizio Novecento. Uccise nove persone e succhiò il loro sangue. Venne catturato e condannato alla pena di morte per decapitazione. Le sue ultime parole? “Mi può dire se, dopo che la mia testa è stata tagliata, sarò ancora capace di sentire, almeno per un brevissimo attimo, il suono del mio sangue che sgorga dal ceppo del mio collo? Sarebbe per me il piacere di tutti i piaceri”.

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