A Roma si narra che metà della sua famiglia sia di fede laziale. Non per questo Luca Parnasi si è tirato indietro davanti al più ambizioso progetto immobiliare della capitale: la realizzazione del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle. Anzi, a dire il vero, per lui, romano e romanista, il nuovo stadio è più di una semplice opportunità di investimento. E’ una sfida che ha il sapore di un riscatto dopo la débâcle di Parsitalia, lo storico gruppo di famiglia sommerso dai debiti. E che rischia di sfumare dopo lo stop della soprintendenza ai beni culturali sull’Ippodromo. Tutto il progetto è infatti appeso a un filo in attesa dell’ultima parola del sindaco Virginia Raggi che non ha escluso l’ipotesi di spostare il nuovo stadio in un’altra area della Capitale. Per Parnasi sarebbe davvero un brutto colpo, che metterebbe una pietra sulle ambizioni della storica famiglia di palazzinari romani. Per questo c’è chi è pronto a scommettere che l’immobiliarista non si arrenderà facilmente.

Considerato un astro nascente del mattone capitolino, Parnasi è uno che la sa lunga. Ha imparato i rudimenti del mestiere dal padre Sandro. E, secondo i bene informati, ne ha fatto tesoro. Classe ‘77, ultimo di tre figli e unico erede maschio, l’imprenditore è cresciuto a pane e mattone: già a metà degli anni ‘40, il padre è infatti fra i protagonisti nelle costruzioni romane. Gli affari vanno bene grazie anche alle amicizie che contano nell’area di centro sinistra con cui i Parnasi, al pari dei Marchini, continueranno a flirtare fino a tempi recenti. Il salto di qualità arriva però negli anni ‘90 quando il capofamiglia Sandro rileva uno dei più grandi gruppi immobiliari d’Europa, la Sogene del banchiere bancarottiere Michele Sindona. Da allora inizia un periodo d’oro grazie anche al sostegno della Banca di Roma di Cesare Geronzi. Nella capitale non c’è affare in cui i Parnasi non mettano il naso, come testimoniano grandi progetti come il multisala UGC a Roma Nord o i due mega shopping center di Porta di Roma e EuRoma2.

Assieme ai progetti cresce però anche il passivo della holding di famiglia, Parsitalia, che, nell’estate dello scorso anno, arriva ad avere debiti per 500 milioni verso i finanziatori Unicredit, Mps e Aareal Bank. Scomparso il padre a luglio 2016, Luca deve far i conti con un’inevitabile ristrutturazione del debito dell’impero di famiglia. Buona parte degli asset finiscono nella Capital Dev, società controllata da Unicredit e destinata a portare avanti i progetti di sviluppo che aveva avviato Sandro. Ne resta fuori la Eurnova perché, tutto sommato, il debito è sostenibile. L’azienda, controllata dalla cassaforte di Parnasi, Capital holding spa, è proprietaria dei terreni di Tor di Valle acquistati per 42 milioni dalla SAIS dei fratelli Antonio e Gaetano Papalia grazie anche a una fideiussione da 4 milioni rilasciata da Unicredit.

Da cinque anni ormai Eurnova studia la realizzazione del nuovo stadio della Roma che prevede 1,6 miliardi di investimenti privati di cui 440 milioni destinati alle opere pubbliche, oltre a poco meno di un miliardo per il business park e 300 milioni per le infrastrutture. E’ un progetto colossale che fa gola a molti in tempi di magra dell’immobiliare. Primo fra tutti Francesco Gaetano Caltagirone, al quale nel 2012, proprio i Parnasi sfilarono l’affare da 263 milioni per la nuova sede della Provincia.

Con il sindaco Ignazio Marino, Parnasi è ad un soffio dal chiudere il cerchio sul grande affare dello stadio per il quale, ottenute le autorizzazioni amministrative del caso, dovrà successivamente trovare dei finanziatori. Fra questi forse anche Unicredit, che, secondo indiscrezioni mai confermate, avrebbe voluto trasferire il quartier generale in nuovi uffici a Tor di Valle. Ma poi l’uscita di scena del primo cittadino Pd mette di nuovo tutto in discussione. E, come se non bastasse, ora un eventuale no del Campidoglio allo stadio in quell’area rischia anche di mettere a dura prova i conti della Eurnova srl che ha archiviato il 2015 in rosso (-1,4 milioni, in crescita esponenziale rispetto ai 167mila euro del 2014) e ha sulle spalle poco più di 40 milioni di debiti (di cui 9 con Unicredit) su un valore della produzione da 13 milioni. Per Parnasi si aprirebbe uno scenario a tinte fosche che avrà inevitabilmente strascichi legali e che nulla esclude, alla fine dei conti, possa pesare sulle tasche dei romani. Senza contare che il no del Campidoglio non porterebbe necessariamente in dote il blocco della speculazione su un progetto che potrebbe essere realizzato altrove. Magari con gli stessi finanziatori, ma con un costruttore diverso.

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