Con tutto il rispetto per la collega Stefania Limiti, è incredibile che senza la rivelazione di una sua fonte non sia possibile individuare né processare i mandanti della strage di Capaci, quella in cui il 23 maggio 1992 furono uccisi il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Eppure alla giornalista, autrice del libro Doppio livello, viene contestato proprio questo dai magistrati di Caltanisetta, con buona pace della libertà d’informazione, e la procura di Roma le ha appena notificato un avviso di fine indagine che potrebbe essere l’anticamera del processo.

Proviamo a fare il punto della situazione. La giornalista, per scrivere il libro, entra in contatto con un ex appartenente alla struttura Gladio che le fornisce una serie di informazioni non sulla strage in sé, ma sulle dinamiche che l’hanno generata e sul fatto che all’origine di quel massacro non ci fu solo la mafia. Informazioni che Stefania Limiti raccoglie, valuta, verifica e alla fine inserisce nel suo libro. Insomma, ha fatto il suo lavoro, né più né meno.

Quando esce il volume, che ha avuto una buona eco, viene convocata dai magistrati nisseni che le chiedono l’identità della sua fonte e la giornalista rifiuta di fornirla, facendo ancora una volta il suo lavoro. Perché la riservatezza delle fonti, garantita dal segreto professionale, è uno dei più importanti strumenti di chi fa il mestiere di Stefania Limiti (ed è davvero limitato invece rispetto ai più ampi poteri d’indagine della magistratura). Ma nonostante ciò segue una seconda convocazione e la pressione a cui viene sottoposta cresce: se non parla, le viene detto, finirà in tribunale. Da imputata.

E così sembra in effetti che stia accadendo. Con l’avviso datato 15 gennaio 2016, la procura di Roma fa sapere a lei e al suo legale, l’avvocato Valerio Vartolo del foro di Marsala, che è indagata ai sensi dell’articolo 371 bis del codice penale, false informazioni al pubblico ministero. Se dovesse essere condannata, rischia fino a 4 anni di reclusione.

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Insomma, la presunta “colpa” di Stefania Limiti, si legge nell’avviso che ha ricevuto, è che “nonostante fosse stata avvisata dell’impossibilità di opporre il segreto professionale, data la utilità delle informazioni richieste, ai fini delle indagini circa i mandanti della predetta strage, taceva in tutto circa tali informazioni”. Eppure ci sarebbe l’articolo 2 della legge professionale n. 69/1963, “Ordinamento della professione di giornalista”, in cui si specificano diritti e doveri di chi fa questo lavoro. Tra questi, “giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse”.

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