In Europa le donne devono lottare ancora per difendere il diritto alla cittadinanza e difendersi dai controlli di Stato sui loro uteri e ovaie e da legislazioni che proibiscono le interruzioni volontarie di gravidanza, favoriscono l’aborto clandestino e mettono in pericolo la vita e la salute delle donne.

A Varsavia, Cracovia, Danzica e in altre città, le donne polacche (ma anche molti uomini) sono scese in piazza in diverse città, l’hanno chiamata la #CzarnyProtest: la protesta nera. E’ accaduto ieri. Hanno issato cartelli contro la proposta di legge promossa dalla maggioranza assoluta del partito conservatore Diritto e giustizia (Pis) del leader Jaroslaw Kaczynski che vuole limitare l’attuale legge sull’aborto rendendolo illegale e punendo le donne che abortiscono fino a 5 anni di reclusione. Attualmente in Polonia è possibile abortire solo in caso di stupro o incesto, malformazioni del feto o problemi di salute delle donne, tutte condizioni che devono essere verificate da un procuratore. Se la legge del Pis sarà approvata, l’aborto sarà punito con cinque anni di carcere, senza alcuna eccezione. Addirittura si farebbero verifiche sugli aborti spontanei: una specie di moderna inquisizione contro le donne.

Il Parlamento polacco aveva discusso anche altre proposte di legge che ampliavano la possibilità di abortire ma sono state bocciate tutte tranne la proposta di legge ultraconservatrice. Si potrebbe anche sospettare che sia stata una risposta reazionaria, un gonfiar di muscoli nei confronti delle donne come a dire “non provate a chiedere di più o sarà peggio per voi”. Ma le donne polacche non ci sono state ed hanno indetto, insieme alla manifestazione, uno sciopero generale in ogni città della Polonia. Hanno affidato i bambini alla cura di mariti o nonni e incrociato le braccia, lavoratrici o casalinghe, ispirandosi allo sciopero indetto dalle donne islandesi che il 24 ottobre del 1975 paralizzarono il loro Paese per far assaggiare al governo che cosa significava l’astensione dal lavoro delle donne per rimarcare la loro appartenenza alla società e il pieno diritto di cittadinanza.

Dieci giorni fa anche le irlandesi sono scese in piazza a Dublino per difendere il diritto all’aborto. Il 24 settembre hanno protestato in 25mila, un numero significativo se raffrontato alla popolazione che conta 5 milioni di abitanti. Le irlandesi hanno chiesto che fosse abrogato l’8° emendamento della Costituzione, introdotto nel 1983, che equipara i diritti del feto a quelli della donna e punisce l’aborto con 14 anni di carcere consentendolo solo in caso di imminente pericolo di vita della madre. Nell’ottobre del 2012 quella legge assurda, causò la morte di Savita Halappanavar che alla 17ma settimana di gravidanza arrivò con forti dolori addominali nella clinica Galway University. I medici attesero tre giorni per praticare un aborto che se fatto in tempo le avrebbe salvato la vita. Intervennero quando non sentirono più il battito del feto ma Savita morì di setticemia. La sua vicenda suscitò proteste a Londra e nel resto d’Europa.

La Polonia, insieme alla Repubblica Irlandese e all’Irlanda del Nord (dove l’aborto è punito anche con l’ergastolo) è tra i Paesi con leggi più restrittive in tema di aborto ma anche nei Paesi dove le leggi sull’interruzione volontaria di gravidanza riconoscono l’autodeterminazione delle donne come l’Italia, la Francia e persino la Svezia, ci sono movimenti conservatori, di fatto una minoranza, che si oppongono alla libertà di scelta delle donne. In alcuni casi, come in Spagna, ci sono stati tentativi di ritoccare in senso restrittivo la legge sull’Ivg.

Nel dicembre del 2013, il governo Rajoy tentò di smantellare la vigente legge di Zapatero con la proposta di legge del ministro della Giustizia, Alberto Ruiz Gallardon, che avrebbe consentito l’aborto solo in caso di stupro o per salvaguardare la salute fisica o psichica delle donne. Il giro di vite venne contrastato dalla la forte reazione delle spagnole che col movimento IO Decido si mobilitarono difendendo la legge di Zapatero.

In Italia invece è stata adottata la strategia di svuotare la 194 con l’obiezione di coscienza che, consentita dalla stessa legge, è stata utilizzata come un cavallo di Troia per depotenziarla e renderla inefficace. In alcune regioni dove gli obiettori sono il 90% del personale medico abortire è diventato difficilissimo. Alle donne tocca ricorrere ancora all’aborto clandestino o con le pillole contro l’ulcera che provoca emorragie o andando all’estero ma il ministero della Salute continua a negare il problema. I cattolici e i conservatori non si limitano a depotenziare la 194 ma fanno resistenze persino sulla somministrazioni delle pillole non abortive come la cosiddetta pillola del giorno dopo e nel boicottaggio ci si mettono anche le farmacie.

L’ultima protesta di massa per difendere l’applicazione della 194 nel nostro Paese è del 2006 quando Usciamo dal silenzio portò nelle strade di Milano, duecentomila donne. La manifestazione prevista per il 26 novembre prossimo, potrebbe essere l’occasione per difendere oltre al diritto delle donne di vivere libere dalla violenza anche il diritto di scegliere la maternità o di abortire con cure e assistenza adeguate. Abbiamo tre begli esempi da seguire: quelli delle donne spagnole, irlandesi e polacche.

@nadiesdaa

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