“Non so se da qualche parte esista un interruttore di Internet. Se esistesse il mio sogno sarebbe di spegnerlo e vedere l’effetto che fa. E sono sicuro che non sarebbe un brutto effetto al netto di problemi come non sapere le previsioni metereologiche in tempo reale o non poter prenotare alberghi, aerei e ristoranti alle migliori condizioni possibili”. Scrive così questa mattina il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti in un articolo sul suo quotidiano.

E l’ispirazione a proporre questo geniale esperimento socioeconomico democratico – che, peraltro, prima di lui hanno proposto e persino attuato un certo numero di dittatori, tiranni e regimi totalitari in giro per il mondo – gli sarebbe venuta, stando a quanto scrive lui stesso, partecipando, da spettatore, a un dibattito alla festa de Il Fatto Quotidiano, del quale “convitato di pietra” sarebbe stato Enrico Mentana che, annota la penna illuminata di Sallusti, sarebbe stato “il primo che ha avuto il coraggio di dire apertamente una cosa che anche io penso da tempo, esattamente che in Rete circola più spazzatura che informazione, più odio che solidarietà, più ignoranza che intelligenza, più nazisti che democratici”.

Inutile, naturalmente, cercare nelle parole del direttore de Il Giornale – che, pure, di professione fa il giornalista e dovrebbe conoscere l’importanza dell’obiettività dell’informazione e delle fonti – uno straccio di riferimento statistico, i risultati di una ricerca o, anche, semplicemente di un’indagine di una qualche Authority finanziata da un qualche regime totalitario che ce l’abbia a morte con la Rete e che, in qualche modo, supportino l’analisi quantitativa che Sallusti propone ai suoi lettori.

Forse, però, vale la pena ricordare al direttore de Il Giornale che gli utenti di Internet oggi, in tutto il mondo, sono quasi 3,5 miliardi di persone, che gli utenti di Facebook hanno superato 1,7 miliardi e quelli di Twitter sono oltre 306 milioni. Numeri alla mano, quindi – e non pensieri e opinioni di una sera di fine estate lasciati cadere su un foglio di carta forse alla ricerca di facile impopolarità da trasformare in popolarità o, magari per porsi alla guida di una crociata anti-Internet che certamente non dispiace al suo editore – dire che online i nazisti sono più dei democratici o che in Rete ci sono più ignoranti che intelligenti o, ancora che su Internet viaggia più odio che solidarietà significa, con una buona approssimazione statistica, dirsi convinti che altrettanto sia vero per la l’intera popolazione della terra.

Un’affermazione decisamente forte, forse un tantino offensiva per chi, tra l’altro, rimprovera ai frequentatori del web, tra l’altro, di “sfogare” on line “frustrazioni con post – così si chiamano in gergo – per lo più carichi di odio e rancore”. “Che diavolo ce ne facciamo di tutta questa presunta democrazia, di queste libertà senza regole e confini?”, si chiede Sallusti che, poi – quasi si trattasse di domanda per davvero retorica – risponde a se stesso in modo perentorio: “A mio modesto avviso nulla”.

Una domanda evidentemente – o, forse, meglio sarebbe dire, auspicabilmente, provocatoria – davanti alla quale si resta indecisi se rispondere o non rispondere per non offendere l’intelligenza di chi la pone. E già, perché sembra improbabile che il direttore de Il Giornale non abbia, ad esempio, mai sentito parlare della Primavera araba durante la quale Internet, i social network e la Rete hanno consentito di scrivere pagine destinate a restare, per sempre, nella storia della democrazia né di quel medico di famiglia di Amatrice che, all’indomani del terremoto che ha sconvolto il nostro Paese, chiuso in un ambulatorio-container, grazie alla telemedicina garantisce assistenza a migliaia di persone lacerate da traumi profondi fisici e psichici. E si resta indecisi se provare o non provare a rispondere perché non c’è dubbio che un giornalista di lungo corso come Alessandro Sallusti avrà passato giornate intere a leggere i terabyte di documenti attraverso i quali wikileaks ha consegnato alla storia, un pezzo di storia diversamente condannata all’oblio.

Ma non è questa la sede per mettere in fila le opportunità che la Rete offre all’umanità. Una precisazione obiettiva e incontestabile, però, la domanda – retorica o meno che sia – di Alessandro Sallusti la merita: non è vero che la libertà online non abbia regole. Le regole sono le stesse identiche che limitano ogni libertà offline: la libertà di ciascuno, anche in Rete, finisce dove inizia quella dell’altro e le leggi che ci sono già fissano confini chiari e sicuri.

A guardare alla storia della Rete e al suo rapporto con quella dei popoli non mancano, insomma, argomenti solidi, scientifici e incontestabili da contrapporre all’idea secondo la quale – come scrive Sallusti – Internet servirebbe solo a “illudersi di esistere postando nel mondo inutili fotografie, sfogare frustrazioni con post […] per lo più carichi di odio e rancore”.

Guai a negare che al mondo, e quindi anche in Rete, esistano spazzatura, ignoranza, odio e nazisti e tanto, tanto altro male e malvagità ma da qui a proporre, dalle colonne di un quotidiano, l’idea che tutto sommato Internet si potrebbe spegnere senza grandi sacrifici per l’umanità perché online la percentuale del male sarebbe superiore al bene il passo sembra davvero lungo. Le opinioni – tutte e di tutti – meritano rispetto ma chi sceglie di fare informazione per mestiere, forse, prima di impugnare la penna o mettersi alla tastiera, dovrebbe domandarsi se e quanto è solida la propria opinione e quale effetto produrrà su lettori che, spesso, ne sanno meno di chi scrive.

La narrazione che Alessandro Sallusti propone – senza, per la verità, essere né il primo, né il solo – è certamente corresponsabile del digital divide culturale che affligge il nostro Paese e continua, assieme a molti altri fattori e responsabilità, a tenerci lontani dal treno che porta al futuro e a impedirci, anche attraverso la Rete, di diventare un Paese più moderno, più democratico e più ricco.

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