La lotta al terrorismo internazionale passa per la messa al bando della crittografia nelle comunicazioni elettroniche o, almeno, per l’apertura di backdoor capaci di consentire a governi e forze dell’ordine di entrare e uscire da ogni canale di comunicazione riservato e sicuro ogni qualvolta ciò si renda necessario. E’ questa l’idea – che per la verità non arriva a sorpresa né può dirsi originale – lanciata lo scorso 11 agosto da Bernard Cazeneuve, ministro dell’Interno francese. Ed è di questa idea e di una collaborazione per promuovere un’azione mondiale contro ogni forma di crittografia capace di garantire la riservatezza delle comunicazioni elettroniche anche davanti agli occhi e alle orecchie dei governi che il ministro francese discuterà il prossimo 23 agosto con il suo omologo tedesco Thomas de Maizière.

Non ha dubbi il ministro Cazeneuve sul fatto che per vincere la guerra al terrorismo internazionale sia necessario, prima, vincere la sfida contro le comunicazioni elettroniche cifrate che corrono attraverso un numero crescente di servizi, software e app e che costituiscono, ormai, soluzioni di mercato, largamente utilizzate. E approfitta – l’espressione è forte ma giustificata – per supportare il suo discorso, della circostanza che uno degli autori del recente omicidio del prete nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, a quanto è emerso dalle indagini, sarebbe stato un utilizzatore assiduo di Telegram, l’app di messaggistica che fa proprio della cifratura delle comunicazioni il proprio punto di forza.

Ma, probabilmente, il ministro francese dimentica – o finge di dimenticare – che, al contrario, negli attentati terroristici che hanno, sin qui, insanguinato la Francia ed il resto d’Europa, le comunicazioni tra i loro autori non sono avvenute utilizzando canali cifrati eppure, sfortunatamente, ciò non è bastato ad evitarle. Non c’è dubbio, invece, che il responsabile del Dicastero di Parigi ignora o finge di ignorare la raccomandazione chiara, netta ed inequivocabile lanciata, solo una manciata di giorni fa, da Giovanni Buttarelli, garante europeo della protezione dei dati personali: “Gli utenti dei servizi di comunicazione elettronica devono essere liberi di utilizzare soluzioni di cifratura a tutela della loro privacy e, al contrario, la decifratura, l’apertura di backdoor e la sorveglianza di comunicazioni crittografate e, quindi riservate, dovrebbe considerarsi vietata”.

Parole, quelle del garante europeo per la privacy che fanno eco e danno dimensione giuridica agli auspici già lanciati nei mesi scorsi da Amnesty International che ha chiesto, a gran voce, a tutti i governi del mondo, di riconoscere quello alla crittografia nelle comunicazioni elettroniche come un diritto fondamentale dell’uomo. Parole, idee e raccomandazioni che si pongono esattamente agli antipodi dei propositi del governo di Parigi che sembra pronto a cavalcare l’onda della paura e del terrore seminato dal terrorismo internazionale per invitare prima il resto d’Europa e, poi, il mondo intero a indebolire, per legge, la crittografia e, più in generale, ogni forma di segretezza tecnologica delle comunicazioni elettroniche.

Nobili i fini che ispirano Parigi ma sbagliato, irragionevole, sproporzionato, inutile e pericoloso l’approccio al problema. E che quella che ora il governo francese sembra intenzionato a seguire e lungo la quale sembra determinato a trascinare l’Europa intera sia la strada sbagliata lo ha già messo nero su bianco la stessa Agenzia francese per la sicurezza dei sistemi informatici (Anssi) che, nei mesi scorsi, ha preso carta e penna e scritto ai ministri della Difesa, della Giustizia, dell’Interno e dell’Economia per rappresentare la sua assoluta contrarietà a iniziative di questo genere, segnalando che l’introduzione, per legge, di eventuali backdoor nei sistemi di comunicazione cifrata e sicuri “avrebbe per effetto un disastroso indebolimento delle soluzioni di crittografia utilizzate”, aggiungendo che “sarebbe impossibile garantire che le stesse backdoor messe a disposizione di governi e forze dell’ordine non siano poi utilizzate anche da terzi per finalità illecite e pericolose”.

Difficile credere che l’iniziativa del governo di Parigi possa avere davvero successo ma, a un tempo, guai a sottovalutarne le ricadute e gli effetti collaterali, specie nella dimensione sociale e culturale. Il rischio – questo sì elevato e concreto – è che si diffonda nell’opinione pubblica il convincimento che crittografia e altri strumenti di riservatezza nelle comunicazioni facciano sempre rima con terrorismo e illegalità e che, tutto sommato, sia, condivisibile il brocardo popolare secondo il quale chi non fa nulla di male non ha niente da nascondere.

Privacy, riservatezza, protezione dei dati personali, al contrario, non sono scudi o alibi per terroristi e malfattori ma diritti fondamentali di ciascuno di noi anzi, forse – nella società dell’informazione e di internet nella quale stiamo vivendo – addirittura pre-diritti ovvero diritti indispensabili a garantire a noi ed ai nostri figli l’esercizio di ogni altro diritto. Guai a cadere nella trappola demagogica di iniziare a credere per davvero che, per vivere più sicuri e garantire maggior sicurezza a chi verrà dopo di noi, serva rinunciare, in maniera così tanto importante, alla nostra privacy.

Le nostre parole trasportano i nostri pensieri e i nostri pensieri sono parte integrante della nostra identità: sta a noi e solo a noi decidere, di volta in volta, se e con chi condividerli. La riservatezza delle comunicazioni elettroniche, in un’era nella quale tutto è comunicazione elettronica, è e deve restare un diritto fondamentale dell’uomo e del cittadino.

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