Amnesty International e Human Rights Watch hanno chiesto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite di sospendere l’Arabia Saudita dal Consiglio dei diritti umani, il più importante organismo mondiale per il rispetto dei diritti umani, “fino a quando non cesserà gli attacchi illegali condotti nello Yemen dalla coalizione di cui è alla guida e tali attacchi non saranno oggetto di indagini credibili e imparziali”.

La risoluzione 60/251 dell’Assemblea generale, con cui è stato creato il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, prevede che “con una maggioranza dei due terzi dei membri presenti e votanti, l’Assemblea generale possa sospendere il diritto di partecipazione al Consiglio dei diritti umani di uno stato che compia gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani“.

La prossima sessione del Consiglio dei diritti umani si terrà dal 13 al 30 settembre. In tale occasione gli stati membri del Consiglio dovrebbero rispettare e rafforzare i più alti standard internazionali sui diritti umani. Nel caso dell’Arabia Saudita, che fa parte dell’organismo dal 2014, è successo il contrario. Dal marzo 2015 la coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita intervenuta nel conflitto dello Yemen ha compiuto attacchi illegali e mortali contro centri abitati, mercati, ospedali e scuole e ha ripetutamente usato, in zone abitate da civili, armi messe al bando a livello internazionale.

La coalizione a guida saudita è stata la principale responsabile degli oltre 3500 civili uccisi nello Yemen, di cui molti bambini e ragazzi. Le ampie prove dei crimini di guerra commessi dalla coalizione a guida saudita nello Yemen avrebbero dovuto essere indagate dal Consiglio dei diritti umani. Invece, l’Arabia Saudita ha sfruttato cinicamente la sua posizione all’interno dell’organismo per impedire una risoluzione che avrebbe avviato un’indagine internazionale e per farne approvare una, del tutto inutile, che ha istituito una commissione d’inchiesta yemenita. Commissione che, nove mesi dopo, non ha fatto nulla per indagare sulle denunce di crimini di guerra e altre gravi violazioni dei diritti umani.

Nelle ultime settimane l’Arabia Saudita ha evitato nuovamente di essere chiamata a rispondere del suo operato, premendo sulle Nazioni Unite affinché la coalizione impegnata nel conflitto dello Yemen venisse tolta dall’elenco degli stati e dei gruppi armati che nel 2015 hanno violato i diritti dei bambini nei conflitti armati. Per ottenere questo risultato, l’Arabia Saudita ha minacciato di ritirarsi dalle Nazioni Unite, di cessare di finanziare i programmi umanitari e di sospendere gli aiuti allo sviluppo.

Questo per quanto riguarda lo Yemen. All’interno dell’Arabia Saudita, la soppressione di ogni forma di dissenso prosegue senza sosta, attraverso processi farsa di fronte ai tribunali speciali anti-terrorismo, lunghe condanne per dissidenti pacifici e difensori dei diritti umani, in alcuni casi seguite da punizioni corporali (come nei casi degli attivisti Raif Badawi e Ashraf Fayadh), e centinaia di esecuzioni. Il 2015 è stato l’anno che ha fatto segnare il maggior numero di esecuzioni dal 1995.

Non sarà facile trovare due terzi degli stati membri delle Nazioni Unite favorevoli a sospendere dal Consiglio dei diritti umani l’Arabia Saudita, il cui ambasciatore a New York è stato nel frattempo eletto alla guida del comitato che dovrebbe nominare gli esperti Onu sui diritti umani. In questi anni infatti, la comunità internazionale ha sempre dato priorità agli affari, al partenariato strategico e alle forniture di armi. Si pensi inoltre al fatto che, nonostante le numerose prove di crimini di guerra, i principali alleati dell’Arabia Saudita, tra cui Stati Uniti e Regno Unito, ma anche l’Italia, non hanno smesso di inviare armi che poi sono state usate durante la campagna militare nello Yemen.

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