di Franca Falletti*

Martedì 14 giugno, in occasione dell’apertura di Pitti Uomo, è stata inaugurata, nelle sale della Galleria Palatina di Firenze, la mostra dello stilista Karl Lagerfeld, accolta in molti commenti della stampa con l’atteggiamento di chi vede finalmente, sulle pigre sponde dell’Arno, il risveglio di una cultura che si è fatta viva e attuale. Io vedo invece, in questo evento, qualcosa di molto preciso e molto importante, ma non un risveglio della cultura. Si plaude all’aspetto internazionale dell’evento, ma andrebbe considerato che ciò che accade a New York, non deve essere necessariamente preso ad esempio da noi.

Questo atteggiamento, se non vogliamo chiamarlo provinciale, è certamente scorretto in quanto, la nostra storia e la nostra cultura, sono altra cosa. Non migliori o peggiori, ma altra cosa. Quindi non vedo motivo per cui l’Europa, e l’Italia in particolare, non debbano seguire strade proprie e vagliare, con il giusto senso critico, ciò che accade oltreoceano. Potremmo pensare, piuttosto, di dare noi degli input nel campo della cultura, invece di scodinzolare dietro a tutte le novità di importazione.

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Quanto al fatto che occorresse un direttore non italiano per fare questa mostra, non voglio credere qualcuno lo pensi davvero, perché ciò negherebbe l’evidenza del continuo crescere del nostro turismo nelle città d’arte ed equivarrebbe ad offendere tutti i direttori di musei italiani, unendoli tutti all’interno di un’immagine di vecchi ammuffiti, incapaci di idee forti. Non ritengo sia il caso di rammentare le importanti iniziative fatte nell’ambito del contemporaneo da grandi musei statali italiani, a partire dalle mostre di Capodimonte già nei lontani anni Settanta. E, allora, si esponevano, accanto alle opere antiche, artisti del calibro di Burri e Rauschenberg.

Sono però d’accordo che, con i direttori recentemente defenestrati”, si sarebbe dovuto faticare molto di più per nobilitare i modelli di Lagerfeld con i capolavori dell’arte italiana. E questo per altri e ben noti motivi, cioè perché solo ora i direttori dei musei maggiori d’Italia, grazie alla riforma Franceschini, sono così strettamente dipendenti dal ministro (che di persona li ha scelti e di persona può farli decadere) da garantire un’obbedienza totale e indiscussa. Entrando infine nel merito dell’iniziativa, ognuno la giudichi come la sua capacità critica gli suggerisce, ma non tiri in ballo l’arte. Non dobbiamo farci ingannare: questa è un’iniziativa di mercato e di immagine, mirata a incrementare l’economia italiana nel campo della moda, cosa magari apprezzabile, ma, a mio parere, moneta non abbastanza pesante da valere lo svilimento della Galleria Palatina.

In poche parole, ciò entro cui si inserisce l’evento a Palazzo Pitti, e anche molte delle più recenti iniziative culturali fiorentine, è un progetto complessivo di fare marketing di ogni aspetto dell’esistenza, che è tipico della società capitalista e che richiede di sacrificare ogni valore, anche l’arte, per le superiori esigenze del profitto. Molti (forse troppi) sono fiduciosi che il sacrificio sia per il profitto nelle proprie tasche, ma, siccome il denaro è sterco del diavolo, per non sentirne lo sgradevole afrore, una spruzzatina di arte può tornare utile. Per tutto ciò, io non condivido affatto il sentimento del Direttore degli Uffizi, che nel comunicato stampa si dice “felice e grato al Centro di Firenze per la Moda Italiana, a Pitti Immagine e alla Fondazione Discovery per questa possibilità straordinaria”. Io non sono grata.

*Storica dell’arte, ha diretto la Galleria dell’Accademia

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