Si può vederla tutta insieme, e sono più di cinque ore, oppure in due puntate, come le miniserie televisive, ma la Lehman trilogy messa in scena da Luca Ronconi al Piccolo Teatro Grassi di Milano è un’esperienza che vale davvero questa attenzione fuori misura. Il testo narrativo di Stefano Massini ricostruisce la storia dei Lehman Brothers dalla metà dell’Ottocento fino al crack del 2008, passato alla storia come il più pesante fallimento finanziario della storia americana. Fratelli, padri, figli, nipoti. Tre generazioni affidate a una straordinaria polifonia di voci soliste: Massimo De Francovich, Fabrizio Gifuni, Massimo Popolizio, Paolo Pierobon, Roberto Zibetti, Fausto Cabra.

L’azione si apre nel 1844 con l’arrivo in America dell’ebreo tedesco Henry Lehman (De Francovich), il fratello maggiore di una famiglia di alevatori di bestiame della Baviera. Henry, “la testa”, apre un piccolo emporio di tessuti in Alabama, dove verrà raggiunto dai fratelli minore Emanuel (Gifuni), “il braccio” e Mayer (Popolizio), “il patata”. “Stare in mezzo”: in questa prima intuizione c’è già il nocciolo di tutto il successo futuro dei Lehman, nonché il principio fondativo della finanza che verrà. Lasciare che siano gli altri a produrre, e diventare i più bravi nel mediare tra chi produce. Ben presto gli interessi della ditta si allargano alle materie prime, alle infrastrutture della Grande Nazione nascente, fino alla borsa di Wall Street “che sembra una sinagoga ma è più grande di una sinagoga, dove non c’è niente eppure c’è tutto, non c’è il ferro ma c’è la parola ferro”.

Sono dei Buddenbrook capovolti quelli che vediamo succedersi in Lehman Trilogy, il sogno dell’emigrante europeo che si fa sogno americano, la fiducia senza limiti nell’avvenire, nell’iniziativa individuale, fino alla comparsa della finanza globale che domina il mondo contemporano. Di fronte alla vastità del racconto, Ronconi, già in passato attratto dai misteri e dai riti dell’economia, sperimenta una regia didattica, quasi minimalista: un piano inclinato, scena a fondo neutro, abiti uniformi come mute, utili a immergersi nel mare del tempo, di qualunque tempo si stia parlando. La bravura degli interpreti di fronte al romanzo-saggio è sia nella capacità di tratteggiare i propri carattere, sia nel basso continuo che permette allo spettacolo di attraversare il cerchio di fuoco tra narrazione e scena. Gli attori stessi sono chiamati a farsi scena, umore, musica e perfino struttura in un continuo moltiplicarsi di piani espressivi dal monologo alla prima persona, alla terza, cui si aggiunge la trovata geniale di trasformare il patriarca Henry, una volta defunto, nel narratore onniscente del romanzo ottocentesco. Un atto di fede incondizionato nel teatro di parola e un’esperienza di lettura prima ancora che scenica. Come se le figure del testo prendessero vita, si alzassero in piedi per raccontare la loro storia, e per un attimo afferrassero davvero l’inafferrabile vita, per poi tornare da dove sono venute, nella parola.

Lehman Trilogy di Stefano Massini
Con Massimo De Francovich, Fabrizio Giffuni, Massimo Popolizio
Regia di Luca Ronconi

Fino al 15 marzo al Piccolo Teatro Grassi di Milano

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