Quando sento i politici, i giornalisti o i commentatori che parlano di creare lavoro mi vengono i brividi. Il termine creare esprime l’idea, più o meno consapevole, che il lavoro derivi da un atto benevolo del potente di turno. Si afferma che il governo deve creare lavoro! Dal nulla abbiamo visto in passato spuntare enti inutili che, appunto, creavano il lavoro per gli appartenenti all’ente stesso. Purtroppo abbiamo assistito alla moltiplicazione dei posti, senza reali necessità, in settori del pubblico impiego. Nel privato, aziende obsolete e incapaci sono state mantenute per anni da fondi statali che appunto creavano lavoro.

In psicologia ormai è chiaro, da Lacan, famoso psicoanalista francese in poi, che il linguaggio tende ad interagire formando la mente. Per questo motivo occorrerebbe smettere il termine creare lavoro. Questo modo di pensare, soprattutto per i giovani, è forviante e induce l’idea di dover attendere che qualcuno benevolmente crei dal nulla il loro lavoro. Per questo non dobbiamo meravigliarci che, come scrivono gli studiosi dell’argomento, i ragazzi siano “sdraiati”, “Neet” (not in education or in employment training) o “bamboccioni”.

Il lavoro casomai si costruisce, nasce, si produce o si determina (non so quale sia il termine più corretto) dall’interazione di diversi elementi:

  • un terreno idoneo caratterizzato dalla necessità di un certo prodotto o una determinata prestazione

  • del fertilizzante che in agricoltura deriva dagli escrementi e che per quanto riguarda il lavoro proviene dall’avidità, dal desiderio che qualcuno ha di divenire importante o potente

  • dalla fiducia che induce l’agricoltore a buttare il suo grano nel terreno perdendolo momentaneamente. Allo stesso modo qualcuno, che potrebbe godersi il denaro, decide di metterlo a rischio gettandolo in un’impresa

  • dalla fatica di chi si ingegna e giorno dopo giorno impegna il suo tempo

  • da un pizzico di fortuna che scongiuri in agricoltura gelate o stagioni troppo secche e nel mondo del lavoro, le crisi.

Per le nuove generazioni consiglierei di smetterla con l’idea che il lavoro si crei. Occorre trasmettere nella mente, soprattutto dei giovani, l’idea che il lavoro non è una gentile concessione del potente di turno ma è un derivato delle loro pulsioni, dei loro desideri, dell’avidità, della volontà di potenza, dell’impegno, della dedizione e della fatica.

No so quale alternativa terminologica sia più adatta per trasmettere l’idea che sono necessari impegno, fiducia, sudore e dedizione.

Chiederei ai lettori un suggerimento sul termine più idoneo.

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