Oggi è un giorno particolare. Per scovarne il motivo, la memoria deve tornare indietro di 70 anni, al 12 agosto 1944, quando i tedeschi della 16ma SS-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS e i loro italianissimi collaboratori fascisti fucilarono 560 persone – di cui 130 bambini – a Sant’Anna di Stazzema per emularsi nei giorni successivi via via che raggiungevano le località limitrofe. Moltissimo tempo dopo – correva già da qualche anno il primo secolo del nuovo millennio – uno scampato a un’altra strage disse a un avvocato: “Vedi quel fiore, senti il suo profumo? […] Avevo sei anni quando vidi uccidere la mia famiglia. Spararono anche a me ma, non so come, sono sopravvissuto. Sono rimasto però dentro un rovo di spine ed è solo raccontandotelo che posso uscire dal ricordo”.

Alle vittime – 15 mila – degli eccidi nazi-fascisti del biennio 1943-1944 a lungo è stata negata la verità. Lo si è fatto addirittura inventando una formula giudiziaria che nell’ordinamento italiano – militare o civile che fosse – non esisteva, quella dell’ “archiviazione provvisoria” che faceva il paio con la “secretazione” della verità su quanto accadde in quegli ultimi anni della seconda guerra mondiale. I fascicoli d’indagine che si sarebbe voluto soffocare, zittire forse per sempre, erano 695, nutriti da centinaia di faldoni e a loro volta composti da talmente tanti documenti da sembrare impossibili da contare. Tutti insieme – fascicoli, faldoni e documenti – sono stati chiusi nell'”armadio della vergogna“, le cui ante si sono dischiuse solo nel 1994 in una stanza del romano palazzo Cesi-Gaddi.

Quell’armadio è divenuto un recente libro, Le stragi della vergogna – Aprile 1944. I processi ai crimini nazifascisti in Italia (Edizioni Eir, prefazione di Carlo Smuraglia, presidente nazionale dell’Anpi, e postfazione di Marco De Paolis, procuratore militare della Repubblica di Roma), scritto da un giovane avvocato, Andrea Speranzoni, che da legale ha rappresentato alcune delle parti civili nei principali processi italiani per crimini nazifascisti. Anche a lui è andato il compito di passare in rassegna atti e indagini occultati insieme alle vite comuni che narrano e ai crimini commessi contro quelle vite. Racconti che “nei decenni ingiallivano corrotti dal tempo e dalla dimenticanza”. E qui, nelle pagine del libro – che, non a caso, inaugura la collana “Segreti di Stato” – non c’è solo la strage di Sant’Anna di Stazzema. Se ne incontrano tante altre, tra cui i massacri di Monchio e Cervarolo che si verificarono tra il 18 e il 20 marzo 1944, l’eccidio di Monte Morello del 10 aprile 1944 o, ancora, quello di Castagno d’Andrea e le stragi di civili sul Monte Falterona (13-18 aprile 1944). E i fatti di Monte Sole (Marzabotto), consumatesi tra il 29 settembre e il 5 ottobre del 1944, 770 vittime.

Perché scrivere di queste vicende ancora dopo tanto tempo? Non solo perché filoni giudiziari su questi e analoghi fatti sono ancora aperti, come ha ribadito nei giorni scorsi la corte federale di Karlsruhe annullando, proprio sui fatti di Sant’Anna di Stazzema, la decisione della procura generale di Stoccarda di non procedere contro l’imputato Gherard Sommer, condannato in Italia all’ergastolo. Un’altra ragione la spiega Speranzoni nel suo libro: “Il nazismo e il fascismo sono stati la consacrazione del privilegio e della violenza, tradottisi, attraverso eserciti di sudditi obbedienti, nella repressione e nel tentativo di sottrarre l’umanità al proprio alveo. Ascoltare la testimonianza diviene allora un risarcimento poetico-narrativo per molte vite che erano state messe a tacere, annichilite dalla paura e dalle distruzioni interiori. Dopo le esperienze che hanno attraversato il “secolo breve”, affrontare il presente è divenuto possibile solo trovando con fatica le parole per raccontarsi, creando ascolto e relazione”.

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