Troppo spesso sentiamo, con il ritornello Ce lo chiede l’Europa chiamare in causa l’Europa, a torto, soprattutto quando si deve cercare un capro espiatorio per giustificare decisioni impopolari e assurde.

Quando invece c’è da applicare o recepire norme europee che danno più diritti ai cittadini (si, ce ne sono) allora i nostri politici dimenticano quel ritornello e si girano dall’altra parte (non a caso l’Italia è il paese con il maggior numero di procedure d’infrazione aperte)

Un esempio pratico può aiutare a capire come ciò abbia delle ripercussioni sulla nostra vita di tutti i giorni. Il Regolamento Europeo 1371/2007 definisce i diritti per i passeggeri ferroviari dell’Unione Europea, i doveri delle compagnie ferroviarie (informazione, qualità del servizio, assistenza a persone con disabilità) e precisa la percentuale di rimborso a cui ha diritto il passeggero in caso di ritardo (25% tra i 60 e 119 minuti, 50% oltre i 120 minuti). 

A più di quattro anni dalla sua entrata in vigore (avvenuta il 3 dicembre 2009) Trenitalia lo ignora in modo palese (e questo potrebbe sicuramente essere materiale interessante per l’istruttoria aperta recentemente dall’Antitrust). Se infatti vi sarà capitato di subire un ritardo superiore ad un’ora e avrete provato, all’arrivo in stazione a chiedere il modulo per il rimborso, avrete avuto modo di apprendere che fare domanda non è possibile, se non dopo trenta giorni dall’avvenuto ritardo. Peccato che il Regolamento 1371 non faccia alcun riferimento temporale in tal senso e che questo abbia tutta l’aria di uno stratagemma creato ad arte per far diminuire considerevolmente il numero di richieste di rimborso (quanti ricorderanno di fare domanda, a distanza di più di un mese?)

Inutile dire che all’estero (ad esempio in Francia) in caso di ritardo (già di soli 30 minuti) sia il personale di stazione a venirvi incontro sul binario per darvi il modulo per fare domanda… Sembra parlare di un altro pianeta!

Ma le “trovate” di Trenitalia non finiscono qui. Se la perseveranza è una delle vostre qualità e aspettate il 31° giorno ci sono forti possibilità che la vostra richiesta venga nuovamente rifiutata. Questa volta perché “il vostro biglietto non prevede la possibilità di ottenere bonus“. Tradotto: su determinate tariffe la compagnia si arroga la facoltà di non riconoscere il diritto al rimborso (previsto invece dal Regolamento Europeo).

E immagino che a questo punto anche il più tenace si arrenda e lasci perdere. O forse no: davanti a questa grave vessazione nei confronti dei consumatori ho deciso di andare fino in fondo. Ho scritto a Bruxelles, che mi ha confermato come il regolamento non prevedesse le “clausole” previste da Trenitalia. Il passo successivo: contattare l’Autorità nazionale che dovrebbe sanzionare le violazioni al Regolamento. Ma… qui il “ce lo chiede l’Europa” non vale e i nostri governanti non hanno ancora avuto il tempo di individuare tale Autorità (e per questo la Commissione ha deferito il nostro paese davanti alla Corte di Giustizia)

Ma chi mi conosce dall’epoca dei costi di ricarica sa che non mi arrendo facilmente. Dopo un pilatesco scaricabarile fra Ministero dei Trasporti (“non siamo noi, ora c’è l’Autorità dei Trasporti“) e la neonata Autorità (“siamo appena nati, non abbiamo ancora le competenze, contattate il Ministero“) quest’ultimo, dopo diverse segnalazioni alla Commissione Europea, è tornatosui suoi passi e ha chiesto (quasi controvoglia) spiegazioni a Trenitalia. 

Risultato? La compagnia ferroviaria fa dietrofront, si scusa e definisce l’accaduto “un errore dell’addetto alla pratica” proponendomi un bonus di 20 euro oltre al rimborso integrale del biglietto. Briciole in confronto all’ammontare di tutti i rimborsi negati finora perché non erano trascorsi 30 giorni o per gli “errori degli addetti”.

Morale della storia: chi la dura la vince (anche se non dovrebbe essere un cittadino a doversi sostituire alle autorità)

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