Finalmente, dopo una lunga attesa, sono state rese note le misure che il neo-governo Renzi intende adottare per traghettare l’economia italiana fuori dalle secche della crisi. I provvedimenti principali si dividono in tre parti: interventi a sostegno dei redditi di lavoro e di impresa, interventi sul mercato del lavoro, al fine di renderlo più “appealing”, interventi sugli ammortizzatori sociali.

In questi giorni, sui giornali e sulle televisioni, soprattutto all’indomani della televendita di Palazzo Chigi, condita da slides, figure e tabelle a magnificare le qualità del prodotto, si è elevato un coro di consensi a sancire che finalmente l’”economia svolta”. Che Renzi sia un buon imbonitore e un abile utilizzatore delle pratiche comunicative non ci piove, al punto tale che, con preoccupazione, ci ricorda un altro abile comunicatore, che per 20 anni ha imperversato, con molte complicità “indecenti”, nella politica italiana. Ma ciò non toglie che, al di là della sfavillante superficie, sia necessario e doveroso analizzare la sostanza. E il risultato che emerge è del tutto sconfortante, vecchio e usato.

1000 euro in più all’anno per chi guadagna meno di 25.000 euro, grazie al taglio di parte del cuneo fiscale”: detta così non sarebbe male. Non molto, 80 euro netti al mese, più dei 12 euro promessi da Letta, ma meglio di niente. Per tutte e tutti? Ovviamente no. La riduzione del cuneo fiscale può essere applicata solo laddove vige un contratto di lavoro dipendente e il taglio risulta massimo laddove il contratto di lavoro è stabile. Ciò significa che i contratti precari dipendenti si dovranno accontentare delle briciole (sicuramente non i 1000 euro promessi) e che tutti coloro che non hanno un contratto di lavoro dipendente sono tagliati fuori: parliamo, non solo dei disoccupati, ma di tutti i lavoratori/trici con contratti di pura subordinazione, Partite Ive, autonomi eterodiretti, ecc. ovvero quasi la metà della forza lavoro italiana. Non è un caso che i sindacati abbiano immediatamente applaudito tale proposta. Il solco tra chi ha un lavoro (solo apparentemente) più stabile in quanto dipendente e chi il lavoro non ce l’ha o è precario tende così ad allargarsi.

“Contratto di lavoro a tempo determinato (CTD) sino a tre anni, con possibilità di rinnovo senza pause e a-causale (per ogni impresa il tetto massimo di utilizzo del CTD senza casuali giustificatrici è infatti il 20%)”. Detto in parole più semplici: possibilità di infinite proroghe per tre anni al contratto di lavoro a tempo determinato. Anche una alla settimana o al mese: di fatto il periodo di prova nel quale si può essere “licenziati” senza preavviso, indennità e alcuna giustificazione viene esteso a tre anni. Peggio che in Spagna, dove almeno la durata minima del CTD è fissata in 6 mesi. Finalmente ci sono riusciti, il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato non è più la regola ma è divenuta l’eccezione in barba anche alle previsioni della Direttiva CEE n. 99/77 che disciplina per l’appunto i contratti a tempo determinato.

Se con la riduzione del cuneo fiscale i precari erano già in parti tagliati fuori, ora sono direttamente mazzolati. La Cgil ci ha messo qualche giorno a capirlo (forse abbagliata dalla televendita?) e adesso esprime qualche perplessità. Meglio tardi che mai. Ma sappiamo come andrà finire, perché è questa la misura principale e l’intendimento della legge delega Renzi: far convergere sul CTD tutte le altre forme di precarietà e rendere la precarietà ancor più strutturale di quella che è già. Assistiamo così ad un peggioramento delle condizioni già  indecenti poste dalla riforma “Fornero” e dal successivo Decreto “Giovannini”. Sulla base di quest’ultime riforme, il CTD c.d. “a-causale” poteva essere rinnovato sino ad un anno. 

Ma Renzi si sa è generoso, propone un fondo di 1,7 miliardi per trovare un’occupazione ai giovani entro 4 mesi dalla conclusione degli studi: che tipo di lavoro? Ovviamente uno stage a retribuzione ridicola se non gratuito! Vediamo così realizzarsi a livello nazionale ciò che era stato eccezionalmente anticipato nel contratto di Luglio 2013 per l’Expo di Milano, in cui si fa esplicita richiesta di 18.500 volontari a titolo gratuito!

Riforma degli ammortizzatori sociali: la cassa integrazione in deroga progressivamente sparisce e viene sostituita dal Naspi: un sussidio di disoccupazione non molto universale (come promesso) per tutti coloro che perdono il lavoro (licenziati?), compresi i circa 400mila atipici che oggi sono protetti dalla Cassa in Deroga  e hanno lavorato almeno tre mesi. La Naspi durerà la metà dei mesi lavorati negli ultimi 4 anni per un massimo di due anni; al massimo sei mesi, invece, per gli atipici. L’entità del sussidio sarà per tutti nell’ordine dei 1100-1200 euro mensili all’inizio del periodo di copertura per poi calare fino a 700 euro: la coazione al lavoro e la ricattabilità del bisogno è quindi assicurata. Si stima che i beneficiari saranno circa 1,2 milioni di persone (pari a quelli oggi in Cassa in Deroga), un numero ben al di sotto dei circa 9 milioni di persone che sono povere.

Se questi sono i provvedimenti della legge delega (non sono infatti subito operativi per decreto, ma dovranno passare al vaglio del voto parlamentare), non bisogna essere dei geni per capire che non c’è nulla di nuovo, ma che ci si muove nel corso della solita tradizione della politica dei due tempi: prima precarizzare, poi si vedrà. La montagna ha partorito il classico topolino.

La MayDay 2014 ha un’altra ragione per farsi sentire. E con più forza. 

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