Tanto tuonò che piovve. Il governo Letta ha ottenuto con l’estrema ratio della fiducia il via libera della Camera alla discussa rivalutazione del capitale di Bankitalia: 335 i sì, 144 i no, nonostante l’interruzione senza precedenti causata dal sit-in dei 5 Stelle che hanno cercato invano di impedire il voto. Ora manca l’ultimo via libera che dovrà arrivare entro martedì 28, visto che il decreto scade il 29. Nel primo passaggio, intanto, sono però valsi a poco emendamenti, petizioni e iniziative di protesta tutt’ora in corso. Del resto il regalo alle banche azioniste dell’istituto – Intesa e Unicredit in testa, che dal provvedimento incasseranno un guadagno compreso fra i 2,7 e i 4 miliardi – s’aveva da fare a tutti i costi e prima possibile. Lo dimostra tutto l’iter della normativa varata in fretta e furia dal consiglio dei ministri il 27 novembre scorso, proprio mentre le forze politiche erano intente a votare la decadenza del senatore Silvio Berlusconi.

Un provvedimento al quale era seguita un’assemblea straordinaria della banca centrale convocata alla velocità della luce e a porte chiuse l’antivigilia di Natale, per adeguare lo statuto di via Nazionale alla normativa non ancora vagliata dal Parlamento. Poco dopo Capodanno, poi, gli emendamenti di affinamento, come quello governativo annunciato dai relatori Andrea Fornaro e Andrea Oliviero, entrambi in quota Partito Democratico, per rendere l’operazione retroattiva e, quindi, permettere agli azionisti di Bankitalia di mettere in bilancio il guadagno sulla rivalutazione fin dal 2013 e non dal 2014, anno di entrata in vigore del decreto.

“La proposta di modifica, che sarà presentata nell’aula di palazzo Madama, si rende necessaria perché il provvedimento è stato pubblicato nella gazzetta ufficiale del 31 dicembre e quindi, entrando in vigore il giorno successivo, si correva il rischio di poter applicare la misura solo a partire da quest’anno”, avevano spiegato i due senatori. Ammettendo quindi che le banche alle prese con un’enorme mole di crediti di difficile riscossione, la crisi del mattone e gli esami comunitari, non si potevano permettere un tale rischio. Poco prima della fiducia, poi, lo stesso ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, cioè secondo il governatore di Bankitalia il vero motore della riforma, aveva dichiarato che “una modifica al provvedimento ora genererebbe incertezze” pur sostenendo che il governo non stava facendo alcun regalo alle banche.

Che sia voluto o meno dall’esecutivo e, in particolare dall’ex direttore generale della Banca Centrale, è tuttavia un dato di fatto che il provvedimento – che ha irritato perfino la Bce di Mario Draghi – darà ottimi motivi per festeggiare agli azionisti dell’istituto. Prima di tutto, appunto, per la generosa rivalutazione del capitale che hanno in mano: con un colpo di penna, infatti, si passa da una valutazione complessiva di 156mila euro a quella nuova di 7,5 miliardi di euro, cioè il valore massimo della forchetta stabilita dal collegio di esperti nomitati per questo scopo dopo l’estate. L’operazione verrà concretizzata tramite una ricapitalizzazione di Bankitalia a carico delle riserve dell’istituto che sono composte prevalentemente d’oro, metallo prezioso le cui quotazioni sono ultimamente in netta discesa.

Ma non finisce qui. Il governo ha stabilito che nessun azionista potrà possedere più del 3% della Banca Centrale (5% il tetto inizialmente previsto). E così Intesa e Unicredit, che insieme hanno in mano più del 64% del capitale, oltre a rivalutare contabilmente le loro quote, che erano iscritte in bilancio a un valore inferiore di quattro-cinque volte, dovranno metterle sul mercato. E se nessuno si farà avanti per comprarle, non c’è problema. Il governo Letta ha infatti dato facoltà alla stessa Banca d’Italia di ricomprarle e tenerle temporaneamente in mano fino all’arrivo di nuovi e adeguati compratori. Dunque rivalutazione contabile più moneta sonante in arrivo per i due istituti, che si presenteranno così agli esami della Bce dotati di un comodo cuscinetto. Sconto, poi, sulle uscite che dovranno sostenere: le tasse sulla pluvalenza a carico degli azionisti sono state fissate al 12%, contro il tradizionale 20% e il 16% inizialmente previsto, che significa un gettito inferiore di circa 370 milioni.

Infine il tema dei dividendi. Con le nuove regole gli azionisti di Bankitalia, a parità di utili, incasseranno un dividendo potenziale pari a sei volte quanto ricevuto negli anni passati: 450 milioni di euro contro i circa 70 degli anni scorsi secondo calcoli del M5S che stima una perdita per lo Stato di quasi 400 milioni. In cambio però a tutte le banche italiane, non solo a quelle azioniste di via Nazionale, è stato imposto di farsi tassare per coprire parte del buco creato con l’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Sarà forse per questo che la rivalutazione di Bankitalia è stata inserita nel decreto d’urgenza sull’imposta immobiliare. Per ironia della sorte, approvato dalla Camera nello stesso giorno della scadenza della mini Imu.

 

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