A seguire le mosse del premier Letta nelle tre settimane del suo governo, si direbbe che il fronte esterno, quello europeo, lo preoccupi quasi più di quello interno: è stato a Berlino e a Parigi, a Bruxelles e a Madrid, ieri a Varsavia. Non è ancora stato a Washington, ma sono venuti a trovarci il segretario di Stato americano John Kerry a Roma e pure 200 marines a Sigonella -ma quelli non c’entrano-.

Eppure, sul fronte esterno, specie quello europeo, nessuno minaccia il governo Letta. Tutti i partner, anzi, sono ben contenti che l’Italia abbia un esecutivo, a prescindere da quale, e non tengono il colpo in canna per abbatterlo. Purché, ovviamente, l’Italia rispetti gli impegni, magari nell’attesa di negoziare patti diversi, e non lanci attacchi kamikaze.

Cose che il Premier e i suoi ministri ‘europei’, Bonino, Moavero, Saccomanni, avevano ben chiare e già sapevano fin dall’inizio: il Consiglio dei Ministri di oggi, con un decreto ‘a costo (più o meno) zero’ dopo tante parole ne è una prova; e la battuta del premier di ieri a Varsavia (“Nessun asse contro la Germania”) ne è una testimonianza, proprio mentre il presidente Hollande apriva alla Merkel sull’Unione politica.

Di questo passo, la riunione della Commissione europea, che il 29 maggio deve decidere se sospendere, o meno, la procedura d’infrazione contro l’Italia per deficit eccessivo, non sarà un plotone d’esecuzione. E i Vertici europei della prossima settimana, il 22 maggio, e di fine giugno non saranno tapponi dolomitici. Quelli, magari, arriveranno in autunno, dopo le elezioni tedesche e dopo i cento giorni di tutte le riforme che – Letta dixit- ci aspettano.

I nemici, questo governo, li ha dentro. Non dentro l’Italia, ché quelli ci sono, ma si chiamano opposizione (ed è il gioco della democrazia). Dentro di sé, dentro la sua maggioranza: nella inconsistenza di un Pd allo sbando, che arretra giorno dopo giorno la sua maginot e non ha ancora trovato un argine su cui attestarsi (e se a qualcuno scappa detta una cosa di sinistra viene subito zittito); e nell’aggressività d’un Pdl che pare un fiume in piena e detta ogni giorno nuove condizioni, tenendo il gioco in mano e sicuro di non pagare dazio.

Tutto come da copione, nessuna sorpresa: Letta, i compagni di strada se li è scelti lui, o almeno li ha accettati; e li conosceva bene. E, dunque, sa che cadrà vittima del fuoco amico. Ma non a Bruxelles e neppure a Berlino. A Roma, a Palazzo Chigi o in Parlamento.

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