Il repulisti virtuale forse non basterà, visto che i post razzisti hanno creato scompiglio e non solo sulla Rete. Non è stata una svista online quella di don Alessandro Loi, 65 anni, curato di un borgo di poco più di 2mila anime all’anagrafe (ancor meno residenti effettivi) nella Sardegna centro – orientale, Lotzorai, in piena Ogliastra. Si è trattato piuttosto di una “crociata” senza dietrofront contro la scelta del nuovo ministro della Cooperazione internazionale e Integrazione, Cécile Kyenge, medico oculista, cittadina italiana nata in Congo e membro Pd dell’esecutivo guidato da Enrico Letta. Dopo gli insulti del leghista Mario Borghezio e quelli di un prof universitario in pensione, Pietro Melis, già condannato per antisemitismo, arrivano anche quelli di un pastore di anime. Dai suoi due profili Facebook, che ora sono inaccessibili, il don ha ripetutamente aperto e rilanciato una discussione sull’opportunità della nomina del neoministro con tono tutt’altro che velato: “C’era bisogno di un ministro di colore?”. E via sulla stessa linea tra una foto con tabernacolo e sguardo ispirato e uno zoom sul ricamo dell’abito talare: “Il ministro sogna un’Italia di immigrati, noi un’Italia di italiani. Mischiare le razze può essere pericoloso!”, ribadisce.

Un attacco che prende spunto dalla pubblicazione di un link a un articolo online del Giornale firmato da Magdi Cristiano Allam, dal titolo “Quella nomina razzista intrisa di buonismo”, in cui il politico definisce la nomina di Cécile Kyenge “un atto di razzismo nei confronti degli italiani”. Un articolo che Loi aveva commentato con alcuni slogan (“Dobbiamo mantenere un po’ di rispetto. Prima gli italiani!”, ad esempio). Con buona pace della cittadinanza reale del neoministro.  La vicenda è stata riportata dalle pagine del quotidiano L’Unione sarda e aperta (fino a stamattina) a tutti gli utenti, fedeli e non, che con numerosi commenti hanno animato le due pagine. Poi, il vuoto. O meglio, i due account pubblici (uno aveva superato addirittura i 5mila contatti) non sono più visibili. Impossibile quindi scrivere un messaggio e rileggere le frasi accusate di razzismo. E mentre la diocesi ufficialmente non parla, online scompaiono le tracce delle dichiarazioni. Don Loi si è sempre definito “tradizionalista”: da novembre celebra la Messa secondo il vecchio rito della Chiesa cattolica, ovvero dando le spalle ai fedeli, e si rifiuta di dare la comunione nelle mani. “Non siamo protestanti!”, ha scritto sul profilo del social network. La sua passione per il web, e una certa risonanza mediatica – finora locale – è nota, tanto che è possibile seguire le sue celebrazioni sull’apposito canale Youtube dedicato alla parrocchia di Sant’Elena.

Tra i tanti commenti che si potevano leggere fino a poche ore fa c’era chi dava supporto al parroco e si auspicava altre simili prese di posizione e chi invece ricordava il principio base dell’amore cristiano, dell’accoglienza e attaccava duramente le uscite dell’uomo di Chiesa, definite comunque da don Loi “personali”. Altri lo ritengono “indegno dell’incarico”, ma non sono mancate neanche segnalazioni alla Curia e bagarre tra sostenitori e contestatori. Don Loi rivedica il diritto di intervenire sulle questioni “politiche” e sulle “opportunità”, di proclamare le idee e il “patriottismo”. Eppure, proprio nel suo territorio c’è un collega di colore, Floribert Kiala. Originario del Congo e viceparroco a Tortolì è sorpreso e amareggiato dalle dichiarazioni di Loi, definite “vergognose”. Ma per tutti oggi è il giorno del silenzio, almeno online.

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