Uno dei temi più dibattuti nell’ultimo periodo è il confronto tra il nostro paese e la Germania. Non possiamo evitarlo visto che la nostra affidabilità economica si misura sui parametri della stabilità e produttività tedesca. Ma dietro i numeri e gli algoritmi che determinano lo spread, ci sono gli uomini con la loro storia, e due società e culture radicalmente differenti. Sarebbe molto utile che i commentatori dessero più spazio a questo aspetto essenziale.

Io vorrei, nel mio piccolo, senza essere un teologo o storico, azzardare una tesi. Ed è questa: ciò che sta accadendo oggi, a ben vedere, era già tutto scritto nelle 95 tesi che Lutero appose sul portone della chiesa di Wittemberg nel 1517, contro il clero di Roma, dando avvio alla riforma protestante. È un volo pindarico, ma può essere interessante. Come si sa, Lutero si scagliava contro la vendita delle indulgenze, la pratica avallata dal Papa e diffusissima in quel periodo tra i sacerdoti di vendere ai fedeli la “salvezza eterna” in cambio di denaro per costruire la Basilica di San Pietro.

Lutero si oppone e scrive “Si deve insegnare ai cristiani che è meglio dare a un povero o fare un prestito a un bisognoso che non acquistare indulgenze”. (43). “Si deve insegnare ai cristiani che il papa come ha maggior bisogno e desidera maggiormente per sé, nel concedere le indulgenze, devote orazioni piuttosto che monete sonanti” (48). “Si deve insegnare ai cristiani che se il papa conoscesse le esazioni dei predicatori di indulgenze, preferirebbe che la basilica di S. Pietro andasse in cenere piuttosto che essere edificata sulla pelle, la carne e le ossa delle sue pecorelle”. (50). Sono solo tre citazioni ma già si intuisce come fossero in gioco due modi opposti di considerare e relazionarsi con il potere. Da un lato la sottomissione al dogma e l’idea che grazie al denaro, e compiacendo il potere con il denaro, si potesse ottenere qualsiasi cosa, in modo più o meno ambiguo, persino la salvezza eterna. Dall’altro il coraggio di opporsi al potere costituito, per accentuare la piena responsabilità del singolo, di fronte a Dio e agli altri uomini. Da ciò è discesa l’attenzione dei Protestanti verso lo studio, la morigeratezza dei costumi ed il lavoro come forma di perfezionamento morale. Tutti valori che hanno poi plasmato la classe dirigente tedesca e ne hanno guidato le scelte nella fase di formazione dello stato unitario, e che stanno alla radice dell’attuale efficienza.

Non ci possiamo stupire se da noi ancora oggi per ottenere uno scopo si preferisce arruffianarsi il potente piuttosto che puntare sul merito personale. Se la qualità scuola è un fattore secondario, mentre per Berlino coincide anzitutto con la formazione del cittadino (cultura si dice Kultur ma anche Zivilisation). Se da noi il posto statale è una sorta di welfare, mentre in Germania è necessaria preparazione e senso dello Stato. Se qui un presidente travolto da scandali sessuali può fare la comunione, perché il reato è anzitutto un “peccato” che si può eventualmente espiare. Qui il presidente della Repubblica è intoccabile anche a fronte di gravi sospetti, in Germania si dimette per un prestito a tasso agevolato. Qui Marchionne, mentre si avvale della cassa integrazione, denuncia di concorrenza sleale Wolksvagen, la quale può sostenere forti sconti perché vende più macchine, perché evidentemente sono fatte meglio. Eccetera eccetera.

Sono grandi semplificazioni e mi scuso per questo, si tratta di un semplice esercizio. Ma per dire che è inutile risolvere problemi contingenti se non si affrontano dei problemi nodali che affondano le radici nella nostra cultura. 

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