E così, secondo Swg il terzo partito italiano sarebbe quello fondato da Beppe Grillo. C’è qualcosa che si ripete in questo movimento tellurico profondo, ancora una volta, nella storia dell’Italia repubblicana. E insieme c’è qualcosa di assolutamente nuovo e inedito.

C’è, nei sondaggi che segnalano una avanzata tumultuosa del Movimento Cinque stelle una sorpresa che non è una sorpresa, perché sempre i media e i commentatori non hanno mai capito da dove arrivava la novità elettorale, il ruggito di protesta, l’invenzione che scompiglia le carte sulla scena. È successo tante volte, e accade ancora, ma la storia si ripete con caratteristiche assolutamente originali: nel momento della sua massima forza, il movimento Cinque stelle sta affrontando la sua prima vera crisi di crescita. Si trova a un bivio fra il salto di qualità e la precipitazione nelle spinte centrifughe.

Nel primo dopoguerra il movimento di Guglielmo Giannini, l’Uomo Qualunque, sorprese tutti conquistando un clamoroso 5, 3 % nelle lezioni del 1946. Partiti con una classe dirigente di prim’ordine, che avevano scritto la Costituzione e giocato un ruolo da protagonista nella Resistenza, come il partito d’Azione, si dissolvevano per mancanza di elettori, e i qualunquisti, invece, con il loro giornale strillato, e le loro parole d’ordine scarlatte, conquistavano un milione 200 mila voti. Pescavano consensi a destra e a sinistra, fondavano l’archetipo della critica alla “partitocrazia”, ma alla fine si sgonfiavano sul nodo cruciale della scelta fra destra e sinistra. Nel 1972 l’onda della protesta gonfiò a soppressa, e per una sola stagione, le vele del Movimento sociale, che arrivò a un clamoroso 9, 00 % al Senato (8. 6 % alla Camera) raddoppiando i voti della elezioni del 1978. Così come rapidamente erano arrivati, quei consensi – all’insegna del celebre “Boia chi molla ” – quasi si dimezzarono, solo quattro anni più tardi, dopo una scissione (quella di Democrazia Nazionale) che aveva portato via la maggior parte delle rappresentanze parlamentari.

Anche le diaspore a sinistra produssero sorprese. Nel 1976 tutti pensavano che la grande sorpresa arrivasse dal cartello della sinistra radicale raccolto sotto il pugno di Democrazia Proletaria. Anche qui c’era un giornale di riferimento – “il manifesto” – anche qui una grande delusione: i tre movimenti insieme presero appena l’ 1, 5 malgrado la grande visibilità mediatica, e il legame con i movimenti. E Gianfranco Pajetta commentò con feroce sarcasmo: “Si sono dovuti mettere insieme in tre per fare un prefisso telefonico”. Era la soddisfazione del partito istituzione che vede fallire l’assalto dei contestatori. L’altra grande sorpresa della storia politica italiana, ovviamente non prevista nemmeno in questo caso fu – nel 1992 – la valanga elettorale della Lega Nord di Umberto Bossi. Nelle elezioni precedenti aveva preso solo uno striminzito 0. 48 %, ma in quell’anno, in cui tutti gli analisti pronosticavano una inesistente “Onda Lunga” del garofano di Bettino Craxi – Bossi e i suoi raggiunsero un incredibile 8. 6 % e ben 55 deputati. Ancora non se ne era accorto nessuno, ma era finita la Prima Repubblica: “I barbari – come scrisse Giampaolo Pansa – hanno fatto cadere l’impero”.

Nel 1994 la sinistra esaltava la sua “gioiosa macchina da guerra ” e la valanga della sorpresa elettorale prese la via del partito di plastica di Silvio Berlusconi sulle ali degli spot martellanti e dei cieli azzurrini. Alle europee 1999, senza che nessuno ci avesse scommesso una lira (tranne loro che vendettero le frequenze della loro radio per finanziare la campagna elettorale) i radicali conquistarono il loro massimo storico con la famosa Lista Bonino: 8. 46 % dei voti e 5 deputati. Solo un anno dopo, alle Regionali quel consenso si dimezzava, per non tornare più. Ma a ben vedere i segnali anticipatori non mancano mai. Per i Radicali fu la campagna Bonino presidente. Per il movimento dei grillini i pesantissimi risultati delle elezioni regionali in Piemonte ed Emilia Romagna dove oggi ci sono 53 consiglieri comunali e due regionali del movimento.

Anche questa volta il consenso del movimento è trasversale. Anche questa volta c’è il successo di un organo di informazione del Terzo millennio, il blog di Grillo. Anche questa volta nel partito convivono un leader carismatico, lo stesso Grillo, e un numero due organizzativo che tesse le fila dietro le quinte, Gianroberto Casaleggio. E quando il movimento ha iniziato a essere determinante, anche il più postmoderno dei movimenti politici ha iniziato a dividersi. Le polemiche sono deflagrate. E proprio nella regione dove si era toccato il massimo dei consensi, l’Emilia.
Andrea De Franceschi, consigliere regionale viene crocifisso sul tema cruciale dei rimborsi elettorali. Poi un altro consigliere emiliano, Giovanni Favia, forse il più efficace dei comunicatori mediatici, viene fatto oggetto di attacchi via web che lo accusano, nientemeno di “Berlusconismo”. Il terzo scossone è l’espulsione di Valentino Tavolazzi consigliere comunale a Ferrara, accusato di voler “partitizzare” il movimento. Poi, Maurizio Pallante economista, scrive il programma dei grillini sui temi dell’energia, ignorando il dibattito accesissimo sul web. E poi se ne va pure lui.

La rivoluzione divora i suoi figli. Il carisma indiscutibile di Grillo talvolta diventa autocrazia. Così il grillismo, se si divide fra il sacerdote Casaleggio e gli eletti, rischia di implodere sul filo del suo traguardo: il trionfale ingresso in Parlamento. Se riesce il salto dalla web-democrazia alla rappresentanza, le Cinque stelle non saranno una meteora, e lasceranno un segno nella storia italiana.

Il Fatto Quotidiano, 15 Aprile 2012

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