“Non si doveva torcere un capello ai vescovi, per adesso, anche se continuavano a rompere, come stavano facendo da domenica 25 gennaio 1960 – ormai un anno e mezzo! – quando la Lettera Pastorale dell’Episcopato era stata letta a tutte le messe, inaugurando la campagna della Chiesa cattolica contro il regime. Quei maledetti! Quei corvi! Quegli eunuchi! Fare questo a lui, decorato in Vaticano, da Pio XII, con la Gran Croce dell’Ordine Papale di San Gregorio”. È il dittatore Rafael Leonidas Trujillo a sfogarsi così, in un immaginario soliloquio, nel romanzo La festa del caprone (Einaudi) di Mario Vargas Llosa. Un grandissimo scrittore, uno che il Nobel avrebbe dovuto prenderselo almeno da vent’anni, e che è stato tenuto in panchina solo perché la lobby latino americana lo boicottava per ragioni ideologiche (è un liberale, ergo di destra, ergo un amico dei gringos). Un libro potente e sanguigno che consigliamo a tutti (c’è anche in edizione tascabile, a 14 euro)  in questa estate di bunker assediati, di cavalieri dimezzati e di porpore in virata. “Peròn lo aveva avvisato – continua il soliloquio del Trujillo di Vargas Llosa – ‘Attento ai preti, Generalissimo. Non è stata la corte degli oligarchi né i militari a buttarmi giù; sono state le tonache. Si metta d’accordo con loro o li faccia fuori una volta per sempre’. Lui non lo avrebbero buttato giù. Rompevano, questo sì…Lettere, memoriali, messe, novene, sermoni”. Potremmo aggiungere: “meeting dell’amicizia tra i popoli…” e la descrizione calzerebbe a pennello per i cattolici nostrani.

Come il clero di Santo Domingo, anche quello italiano ha voltato bruscamente le spalle al regime berlusconiano, passando dall’ossequio troppo a lungo praticato, dallo scambio sfacciato di favori, oboli, leggi e agevolazioni fiscali, alla fronda e poi alla ribellione aperta. Certo, prima di rallegrarci per gli applausi della platea di Cielle al presidente Napolitano, sarebbe il caso di domandare a quei cristiani militanti perché avessero venduto le loro anime al grande Satana di Arcore e come mai ci abbiano messo tanto ad aprire gli occhi.

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