Probabilmente quella in atto contro Kharkiv, seconda città dell’Ucraina, è già parte dell’annunciata “grande offensiva” che dovrebbe essere la plastica rappresentazione sul campo della rinnovata potenza dello Zar, fresco del giuramento per l’ennesimo insediamento al Cremlino, dopo 24 anni di potere ininterrotto e di fatto assoluto.

Il quinto giuramento in forza del plebiscito più travolgente e più pilotato di sempre è avvenuto all’indomani dell’esibizione delle tanto decantate armi atomiche tattiche in una esercitazione in puro stile sovietico, “un segnale per riportare alla realtà l’Occidente e le sue marionette a Kiev” come aveva sottolineato il ministro degli Esteri Lavrov. E nelle stesse ore si è appreso di un piano dei servizi segreti russi per assassinare Zelensky, certamente non il primo ma molto più sofisticato dei precedenti, e dell’arresto di due colonnelli dell’apparato di sicurezza a tutela dei vertici politici di Kiev.

Si sarebbe trattato di un bel regalo per l’insediamento del “condottiero santo” benedetto dal suo “chierichetto”, ovvero il patriarca personale Kirill, con l’augurio di rimanere in carica fino alla “fine dei secoli”, nonostante le ultime modifiche ad personam della costituzione gli consentano “solo” un’altra rielezione fino al 2036. Per puro caso o per singolare coincidenza qualche giorno prima il presidente ucraino era finito nell’elenco dei ricercati di Mosca ai sensi di un articolo del codice penale russo non meglio specificato e da Kiev hanno fatto notare che si è trattato di un tentativo un po’ maldestro per compensare “il mandato di arresto reale in esecuzione in 123 paesi del mondo emesso dalla Corte penale internazionale contro Vladimir Putin per comprovati crimini di guerra.”

Quello che è certo per ora è l’intensificarsi di giorno in giorno dell’offensiva sul fronte del Nord Est con oltre 8mila evacuati dalla regione di Kharkiv. Lo testimoniano le immagini strazianti di una popolazione per lo più anziana che ha resistito per oltre due anni e che si ritrova a fuggire con i propri animali in braccio e con qualche ricordo infilato in extremis nei sacchi dell’immondizia sotto i bombardamenti feroci e ininterrotti che stanno garantendo ai russi conquiste territoriali che non si verificavano dal settembre del 2022. In tutta l’Ucraina c’è il blackout elettrico dopo gli attacchi alle centrali elettriche e Zelensky è costretto a cancellare la visita da tempo programmata in Spagna, e a chiedere per l’ennesima volta l’invio di patriot per rafforzare la difesa antiaerea.

Putin può affermare esultante “avanziamo ovunque” alla vigilia della prima visita a Pechino dopo il grande trionfo nelle urne trasparenti e riconferma la sua ostentata disponibilità al dialogo, ma “per negoziati che includano gli interessi di tutti”. Solo 24 ore prima il suo ventennale ministro degli esteri Serghej Lavrov, saldamente al riparo da qualsiasi “rimpasto”, aveva sfidato apertamente l’ Occidente: “Se vogliono essere sul campo di battaglia saranno sul campo di battaglia. La Russia è pronta“.

D’altronde i segnali che la Russia voglia attrezzarsi al meglio per una guerra di lungo periodo al di là delle dichiarazioni contingenti ci sono tutti: da quelli più “minimali” e quotidiani come l’introduzione dalle elementari del “maestro di droni”, non per finalità ludiche ma all’interno di una pervasiva educazione bellica, a quelli politici e di riassetto nel governo.

Tutti gli analisti, di ogni orientamento purché non al soldo di Mosca, hanno valutato l’inusuale giro di valzer ai vertici strategici per la guerra come un’operazione di ulteriore accentramento decisionale nelle mani di Putin che, accogliendo ex post un input della buonanima Prigozhin spedito prudentemente a miglior vita, ha liberato dopo ben 12 anni la casella della difesa a favore di Andrei Belousov, un economista. Una scelta solo in apparenza in controtendenza con l’escalation in atto, ma in realtà finalizzata a “contenere” la corruzione fuori controllo e a far funzionare meglio l’apparato militare-industriale, cruciale per una economia di guerra soprattutto nel lungo periodo.

Così dopo “il grande rimpasto” e la ribadita disponibilità al negoziato che tenga conto “degli interessi di tutti i paesi coinvolti”, che poi sarebbero l’Ucraina aggredita e la Russia aggressore, Putin vola a Pechino per il vertice n. 42 con Xi Jinping a cui molti continuano a guardare come possibile pacificatore, nonostante la Cina fornisca ai russi circa il 90% delle componenti essenziali per missili, droni, tank e ospiti nei suoi porti navi cariche di armi provenienti dalla Corea del Nord dirette in Russia.

L’Ucraina è in enorme difficoltà, in primo luogo per lo stallo di oltre sei mesi imposto da Trump agli aiuti militari che continuano ad essere insufficienti rispetto all’entità dell’offensiva e che stanno arrivando troppo tardi. Perciò Putin ha buon gioco per dire quello che gli fa più comodo a seconda del contesto e dell’opportunità e a gestire la sua partita personale che, in modo non troppo dissimile da quella di Netanyahu, si fonda sul perdurare della guerra.

Quello che vuole Putin lo ha ribadito di recente Dmitrij Suslov, uno dei consiglieri di politica estera accreditati al Cremlino, e cioè che la Russia non combatte tanto per i territori quanto per “uno status neutrale” dell’Ucraina: “Fine di ogni discorso sull’adesione alla Nato, limiti stretti alle dimensioni delle forze armate e alla cooperazione con l’Occidente”. Di conseguenza, anche l’esclusione dalla Ue e la sostanziale riduzione a paese satellite dell’impero putiniano. E’ questo l’obiettivo condiviso dal pacifismo nostrano?

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