Le elezioni europee arrivano in una fase caldissima, a livello internazionale, sul fronte del fisco. Il primo pilastro della tassazione minima sulle multinazionali rischia di saltare, l’Onu sta lavorando a una convenzione globale per riscrivere le regole della cooperazione internazionale sul fisco, la presidenza brasiliana del G20 ha messo al centro dell’agenda dei lavori la proposta di una tassazione globale dei grandi patrimoni sostenuta da economisti come Gabriel Zucman e i Nobel Joseph Stiglitz ed Esther Duflo e appoggiata anche da Germania e Spagna. Cosa ne pensano i partiti italiani? Ilfattoquotidiano.it ha passato in rassegna i programmi depositati in vista dell’8 e 9 giugno. Bipartisan il consenso sulla lotta ai “paradisi” grazie ai quali le grandi imprese pagano meno tasse, mossa che non scontenta nessuno. Tutti o quasi concordi sul contrasto all’elusione e sull’armonizzazione delle imposte sugli utili societari nei diversi Paesi membri. Sono invece solo due le forze politiche che fanno i conti con l’elefante nella stanza, cioè l’ipotesi di toccare i patrimoni: l’Alleanza verdi sinistra, favorevole a un’imposta sulle grandi ricchezze a livello europeo, e Pace Terra Dignità, che sposa una tassazione straordinaria sulle grandi ricchezze. Tacciono la maggioranza, il Pd e il M5s. Nei giorni scorsi la capolista dem per il Nord-Ovest Cecilia Strada – candidata da indipendente – ha però rotto il silenzio sostenendo pubblicamente la necessità di “interventi straordinari come una patrimoniale” per ridurre le disuguaglianze.

Fratelli d’Italia – Il programma di Fdi, intitolato “Con Giorgia, l’Italia cambia l’Europa”, dedica al fisco poche righe. Il capitolo dedicato alla concorrenza sleale parte dalla considerazione che “bisogna contrastare le pratiche elusive e la migrazione delle sedi aziendali verso i paradisi fiscali europei“. Il trasferimento delle sedi è in realtà solo una parte del problema: più spesso ad essere delocalizzati sono i profitti, attraverso l’apertura di società controllate. L’obiettivo dichiarato è quello di “intervenire sulla fiscalità internazionale, lavorando per garantire un’adeguata applicazione della Global Minimum Tax (l’imposta minima del 15% sulle multinazionali ndr) e per l’approvazione del primo pilastro del Progetto BEPS (Base erosion and profit shifting), o di misure ad esso ispirate, riguardante principalmente la tassazione delle grandi società che erogano servizi digitali“. Un accordo globale sul primo pilastro, quello che riguarda la redistribuzione del “diritto a tassare” una parte di utili tra tutti i Paesi in cui una grande multinazionale opera, al momento appare appeso a un filo: al Senato Usa non c’è la maggioranza necessarie per approvare il trattato internazionale che, colpendo soprattutto le multinazionali statunitensi, comporterebbe una significativa perdita di gettito per Washington.

Forza Italia – Noi moderati – I forzisti sono la prima forza di maggioranza ad aver presentato, già a fine aprile, un programma ad hoc per la consultazione dell’8 e 9 giugno. Diciassette pagine con un elenco di punti chiave, senza molto approfondimento. Sul fisco ci sono poche righe: dopo aver affermato che dev’essere “più favorevole alle imprese” si auspica a livello Ue “una politica per l’armonizzazione fiscale comune” che potrebbe “includere l‘armonizzazione delle aliquote fiscali e la collaborazione nella lotta all’elusione fiscale“. Tradotto: no alla concorrenza fiscale interna all’Unione. Segue la richiesta di misure sui “Giganti del Web“: “Condividere informazioni finanziarie e sviluppare regole fiscali uniformi, che impediscano ad alcune aziende di ridurre fittiziamente le loro passività fiscali”.

Lega – Lo slogan che accompagna il programma del partito guidato dal vicepremier Matteo Salvini è Più Italia, meno Europa, a scanso di equivoci. Sulla tassazione c’è una sola frase: “Il mercato interno dell’Ue dovrebbe portare con sé anche un’armonizzazione minima in materia fiscale in modo da evitare fenomeni di dumping tra Stati membri ad esclusivo vantaggio delle grandi multinazionali”.

M5s – I 5 Stelle insistono sulla tassazione dei grandi gruppi, su più versanti. Forti dei dati dell’Osservatorio fiscale europeo sui profitti spostati nei paradisi fiscali, che causano perdite di gettito equivalenti a “quasi il 10% delle imposte societarie raccolte a livello globale”, propongono una tassazione dell'”utile mondiale consolidato applicando una formula per ripartire la tassazione nei diversi Paesi combinando fatturato, capitale e manodopera”. Per contrastare abusi fiscali, elusione, riciclaggio al finanziamento del terrorismo e conflitti di interesse il Movimento presieduto da Giuseppe Conte auspica poi “maggiore trasparenza delle informazioni sulla proprietà di asset patrimoniali attraverso la predisposizione di un registro centralizzato europeo che consenta di conoscere i beneficiari effettivi di trust, attività finanziarie e immobili“, come da proposta dell’organismo di ricerca presieduto dall’economista Gabriel Zucman. Non c’è traccia però del passo successivo indicato da Zucman, cioè il varo di una tassa minima sui super ricchi, a cui si era detto favorevole il vicepresidente M5s Mario Turco.
Altri punti riguardano una legislazione efficace contro il ricorso alle società di comodo, la riforma dei criteri di composizione della lista giurisdizioni non cooperative a fini fiscali (“L’Unione non deve chiudere un occhio sui paradisi fiscali all’interno dei suoi confini”), la richiesta alla Commissione di “mappare gli extraprofitti delle grandi multinazionali” e “aumentare la tassa sulle transazioni finanziarie (ma non ne esiste una a livello Ue ndr) e di chi investe in criptovalute”. Per finanziare un reddito di cittadinanza europeo si ipotizza “una tassazione sui capitali delle società minima e uguale per tutti”.

Pd – Anche il Pd nel manifesto elettorale pubblicato il 15 maggio si concentra sul contrasto ai paradisi fiscali a partire da quelli interni alla Ue. “Serve superare l’unanimità in materia fiscale, per armonizzare il livello di tassazione infraeuropeo secondo parametri di equità e di trasparenza”, scrive il partito guidato da Elly Schlein. Segue il sostegno all’attuazione di “una tassazione coordinata sui capital gains“, su cui in Italia si applica l’aliquota sostitutiva del 26%, e all’armonizzazione delle basi imponibili sul reddito delle società. L’Ue deve poi “continuare gli sforzi per introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie”, proposta bloccata da un decennio, e “in assenza di un accordo globale sulla ridistribuzione dei diritti fiscali (il primo pilastro della riforma negoziata in sede Ocse, ndr), attuare una tassa comune nel mercato interno per le multinazionali che operano nell’Ue”. Non è chiaro se si parli di una web tax europea o della common corporate tax base di cui la Ue ha discusso per anni, fino ad arrivare nel 2023 alla proposta di direttiva Befit sull’introduzione di regole uniformi per la determinazione della base imponibile delle società. Nel programma dem non c’è alcun riferimento a un’imposizione minima per i grandi patrimoni, citata invece nel manifesto presentato a marzo dal gruppo dei Socialisti e democratici, a cui il Pd aderisce. Nei giorni scorsi il tema è stato sollevato da Cecilia Strada, che si presenta da indipendente ed è capolista Pd per il Nord-Ovest: intervistata dall’Huffington Post ha detto che “quando le diseguaglianze sono così marcate e sulle teste delle famiglie grava un debito pubblico elevato, servono interventi straordinari come una patrimoniale. Questa patrimoniale non inciderebbe per nulla rispetto ai grandi patrimoni, non li farebbe scappare all’estero. È noto che diverse personalità si sono già espresse a favore. Questo non è comunismo rapace. È equità e buon senso“.

Avs – L’Alleanza verdi sinistra parte dal presupposto che occorre “ribaltare completamente” nel segno della giustizia sociale uno status quo fatto di dumping fiscale, esistenza di paradisi fiscali interni, tolleranza verso pratiche di elusione ed ottimizzazione fiscale opache da parte delle grandi multinazionali, ostilità verso tentativi di far pagare il dovuto “alla speculazione e alle rendite economiche e finanziarie”. Di qui le proposte di “una tassa sulle transazioni finanziarie che copra azioni, obbligazioni e derivati, con un’aliquota sufficientemente alta da scoraggiare la speculazione”, “un’imposta europea sui grandi patrimoni, sul modello di quanto proposto nell’Iniziativa dei Cittadini Europei “La grande ricchezza”, sostenuta dal Fatto, e “un’imposta sulle pratiche degli ultra-ricchi che favoriscono il cambiamento climatico e sui beni di lusso, compresi yacht e jet privati”. La federazione guidata da Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni chiede poi di rafforzare la lista dei paradisi fiscali includendo anche quelli europei, combattere la concorrenza fiscale aggressiva all’interno dell’Ue anche attraverso l’armonizzazione della tassazione sulle rendite finanziarie e i redditi da capitale (dopo aver abolito l’unanimità in Consiglio sulla politica fiscale), garantire la trasparenza fiscale delle multinazionali, creare un registro europeo globale dei beni spingendo per la sua estensione a livello globale come da suggestione di Zucman.

Pace terra dignità – La lista di Michele Santoro nel suo programma illustra in breve una serie di principi di massima seguiti da proposte forti: “Compito dell’Unione Europea è impedire la fuga di capitali all’estero e l’incontrollata globalizzazione della finanza, introdurre la Tobin Tax sui movimenti speculativi e tassare le aziende del fossile, estendere ed aumentare la Carbon Tax, detassare le tecnologie verdi e abolire qualsiasi detrazione fiscale per chi inquina. Occorre una tassazione straordinaria sulle grandi ricchezze, sugli extra profitti delle banche, delle industrie energetiche, delle fabbriche di armi e delle piattaforme digitali. Le tasse delle multinazionali devono essere pagate dove le società acquisiscono i loro ricavi ed i paradisi fiscali in Europa vanno aboliti”.

Azione – Siamo Europei – Anche la lista guidata da Carlo Calenda parte dal presupposto che “dobbiamo necessariamente armonizzare le aliquote fiscali e le basi imponibili per ciò che riguarda la tassazione degli utili e delle imprese, anche per evitare la nascita di paradisi fiscali interni all’Unione”. Poi affronta l’attuazione della global minimum tax, notando che “è rimasta vulnerabile ad alcuni espedienti fiscali, ad esempio l’utilizzo di crediti di imposta da parte di uno Stato membro per abbassare l’aliquota effettiva” e proponendo di “affidare all’Osservatorio fiscale europeo i compiti di vigilare sull’applicazione effettiva e redigere un report annuale sulla sua applicazione. Questo consentirebbe alla Commissione di agire prontamente nel caso in cui alcuni Stati membri tentassero di trattenere o attrarre individui e imprese nel loro territorio attraverso espedienti fiscali, come un eccessivo aumento dei crediti d’imposta per le imprese nazionali”.

Stati Uniti d’Europa – Lo stringato programma – 14 pagine – della lista che riunisce i candidati di Italia Viva, Più Europa, Partito Socialista Italiano e Radicali Italiani non cita mai le tasse. La politica fiscale compare en passant in una frase che chiede di “mettere mano ai Trattati istitutivi e fare passi avanti verso gli Stati Uniti d’Europa, con un governo che risponda al Parlamento europeo, una politica estera, di difesa, fiscale e migratoria comune e l’eliminazione del voto all’unanimità”.

Libertà – Il 13esimo punto del programma della lista di Cateno De Luca riguarda la “libertà economica delle imprese” da raggiungere attraverso un “serio contrasto alla concorrenza sleale tra Paesi europei per eliminare definitivamente i paradisi fiscali e per eliminare l’elusione fiscale delle grandi multinazionali”.

Alternativa Popolare – Nulla sulle tasse nel programma dl partito guidato da Stefano Bandecchi, a eccezione di un richiamo alla necessaria “equità del sistema fiscale”.

Volt – Il movimento progressista paneuropeo Volt dedica un capitolo del programma alla lotta all’evasione ed elusione fiscale. La prima proposta è la già sentita armonizzazione della tassazione delle imprese “utilizzando una base imponibile consolidata comune per le imprese nell’UE e introducendo una ripartizione forfettaria dei profitti delle società multinazionali”. Poi una richiesta molto ambiziosa: “Obbligare a un’aliquota minima aziendale del 22%“, ben superiore al 15% minimo previsto per le multinazionali, “e imposte nazionali integrative obbligatorie per i profitti provenienti da giurisdizioni a bassa tassazione per raggiungere almeno il 22% effettivo. Inoltre, consentire l’applicazione di imposte nazionali supplementari facoltative fino a raggiungere l’aliquota fiscale nazionale”. Per facilitare lo scambio automatico di informazioni tra tutti gli Stati membri dell’Ue si chiede di “implementare un registro centrale della ricchezza fondendo i dati provenienti da varie fonti, come i dati fiscali nazionali e i registri immobiliari”. Il compito dovrebbe essere assegnato a un futuribile Ministero delle Finanze dell’Ue. Il secondo passo consisterebbe nel “creare meccanismi per lo scambio di dati con altri registri di questo tipo in tutto il mondo, soprattutto per quanto riguarda le informazioni sui paradisi fiscali offshore“. Infine si auspica l’applicazione delle norme, già esistenti, sull’obbligo di istituire registri della proprietà effettiva, “in modo che gli investitori immobiliari non possano più nascondersi dietro società anonime di facciata”. A livello globale si immagina la creazione di “meccanismi finanziari come un Dividendo Globale delle Risorse o una Tobin Tax per finanziare e incentivare le transizioni allineate agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e distribuire in modo più equo l’onere finanziario dell’Onu”.

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