È durata quasi due ore l’udienza pubblica davanti alla Corte costituzionale sul conflitto di attribuzioni tra il Senato e la Procura di Firenze nell’ambito del procedimento sulla fondazione Open, in cui Matteo Renzi e il suo “giglio magico” sono imputati a vario titolo per finanziamento illecito ai partiti e corruzione. Si discute della legittimità degli atti dei pm che in fase di indagine hanno sequestrato – sui dispositivi di terzi – messaggi, chat ed email in cui l’interlocutore era Renzi, nonché l’estratto conto bancario dello stesso Renzi. Secondo l’Aula di palazzo Madama quei sequestri hanno violato le prerogative costituzionali dell’ex premier (che era ed è ancora parlamentare) perché disposti per appropriarsi della sua “corrispondenza” in modo illegale, senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza. I magistrati si difendono ricordando che i provvedimenti non erano diretti verso Renzi, ma verso soggetti non coperti dall’immunità parlamentare: gli imprenditori Marco Carrai (indagato nello stesso procedimento) e Vincenzo Manes (non indagato).

Il nodo della “corrispondenza” – In ogni caso, sostiene sempre la Procura, sms, mail e messaggi WhatsApp non possono essere fatti rientrare nel concetto di “corrispondenza” e quindi coperti dalla tutela dell’articolo 68 comma 3 della Costituzione, che ne vieta il sequestro nei confronti dei parlamentari: anzi, un consolidato orientamento della Cassazione afferma proprio il contrario, cioè che “i dati informatici acquisiti dalla memoria del telefono (…) (sms, messaggi WhatsApp, messaggi di posta elettronica “scaricati” e/o conservati nella memoria dell’apparecchio) hanno natura di documenti, di tal che la relativa attività acquisitiva non soggiace alle regole stabilite per la corrispondenza”. E tantomeno può essere considerato “corrispondenza tra la banca e il cliente”, come sostiene Renzi, l’estratto conto bancario sequestrato. Il principio è stato ribadito a maggio 2022 anche dal gip di Genova, archiviando la denuncia per abuso d’ufficio sporta da Renzi contro i pm Giuseppe Creazzo, Luca Turco e Antonino Nastasi, che nel febbraio precedente avevano firmato la sua richiesta di rinvio a giudizio. Il processo è attualmente nella fase dell’udienza preliminare.

La tesi del Senato… – Davanti alla Consulta il Senato è difeso da Vinicio Nardo (presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano) e Giuseppe Morbidelli (ordinario di Diritto amministrativo alla Sapienza di Roma), la Procura fiorentina da Andrea Pertici (ordinario di Diritto costituzionale all’università di Pisa). Secondo Morbidelli, “Renzi è sempre stato il vero e proprio bersaglio” delle attività d’indagine su Open: “La Procura dice che non poteva sapere che avrebbe acquisito i messaggi di Renzi. I rapporti di Carrai con Renzi sono però strettissimi, come si ricava dai messaggi. C’è una familiarità, basta leggere i giornali. Sono rapporti che conoscono tutti, tanto più doveva conoscerli la Procura. Nessuno chiede ai pm di avere capacità divinatorie, ma il vedere che Renzi è in continuo contatto con Carrai doveva essere un campanello d’allarme per chiedere l’autorizzazione”. Sul concetto di corrispondenza, invece, ha sfidato la giurisprudenza della Cassazione, sostenendo che la tutela costituzionale non copre soltanto il “momento dinamico del flusso”, cioè quello “in cui si schiaccia invio”, ma “vive ancora una volta giunta al destinatario”. In caso contrario, ha aggiunto, “sarebbe facile per i pm eludere gli obblighi costituzionali, attendere che i parlamentari mandino messaggi e poi acquisire tutto”.

…e quella della Procura – “La Procura ha agito nel rispetto delle norme costituzionali rilevanti, cosa che è l’esclusivo oggetto della presente controversia. Non delle garanzie degli imputati in generale, né di tutela della privacy”, ha ricordato invece Pertici. Che retoricamente si è chiesto: “Cosa avrebbe dovuto fare la Procura? Sta svolgendo delle indagini e sequestra dispositivi, non di parlamentari, che ritiene potrebbero essere utili per le sue indagini: si pretendeva forse che ci si arrestasse di fronte a qualunque dispositivo che potesse contenere conversazioni con un parlamentare? E con quale parlamentare? Con un deputato, un senatore, con entrambi? Avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione a entrambe le Camere? È evidente che ci troviamo di fronte a una pretesa del tutto impossibile“.

Il retroscena smentito – Il giudice relatore della causa è Franco Modugno, costituzionalista della Sapienza: nominato dal Parlamento nel 2015 su indicazione del Movimento 5 stelle, è uno dei membri più anziani della Consulta. Martedì un retroscena di Repubblica ha sostenuto che l’orientamento della Corte è di accogliere la tesi di Renzi nonché quella di Cosimo Ferri, ex deputato di Pd e Iv che per lo stesso motivo – una presunta violazione delle prerogative parlamentari – ha convinto la Camera a sollevare il conflitto contro il Csm, che vorrebbe usare i suoi dialoghi con Luca Palamara (intercettati dal trojan nello smartphone dell’ex ras delle correnti) nel procedimento disciplinare a suo carico. L’ufficio stampa della Corte però ha smentito in modo secco, parlando di “illazioni totalmente destituite di fondamento“.

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