Più di duemila persone sepolte vive. L’enorme frana che, nella notte tra giovedì e venerdì scorsi, ha colpito la Papua Nuova Guinea è una vera e propria strage. Rasi al suolo diversi villaggi nella provincia di Enga. Una tragedia che ha causato la morte di almeno 670 persone, secondo quanto riferito da un funzionario delle Nazioni Unite all’agenzia AFP. Ma il numero dei morti, secondo quanto riferito dal Centro nazionale per i disastri all’ufficio delle Nazioni Unite a Port Moresby, “probabilmente sarà più alto”.

“La frana ha sepolto vive più di 2.000 persone e ha causato gravi distruzioni”, si legge in una lettera inviata dalla stessa agenzia. Domenica, Serhan Aktoprak, capo della missione dell’Agenzia Onu per le migrazioni nella nazione insulare del Pacifico meridionale, aveva dichiarato che circa 150 case erano state sepolte dalla frana. Non solo. “Si stima che al momento ci siano più di 670 persone sottoterra” aveva detto Aktoprak all’Associated Press. Venerdì le autorità locali avevano inizialmente stimato il bilancio delle vittime a circa 100 e, nella giornata di ieri, erano stati recuperati solo cinque corpi e una gamba della sesta vittima.

Il segretario generale dell’Onu António Guterres si è detto “profondamente rattristato” dalla notizia delle centinaia di vite perse nella gigantesca frana che ha colpito un villaggio in Papua Nuova Guinea. “Le Nazioni Unite – ha aggiunto – e i suoi partner stanno sostenendo gli sforzi del governo. Siamo pronti a offrire ulteriore aiuto in questo difficile momento”. Anche gli Usa sono pronti a fornire assistenza. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha definito la Papua Nuova Guinea come uno “stretto partner e amico“. Washington ha rafforzato i legami nella regione dell’Asia del Pacifico dopo che la Cina ha firmato un accordo di sicurezza con le Isole Salomone nel 2022. Lo scorso anno, gli Usa hanno firmato anche un accordo di difesa con la Papua Nuova Guinea, considerata un importante hub militare nel Pacifico.

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