E allora, com’è questo Parthenope, il film di Paolo Sorrentino presentato a Cannes in concorso ma ancora ignoto in Italia, dove uscirà solo in autunno? È brutto, il solito Sorrentino che gioca all’ammicco pseudo intelligente, il peggior film di Sorrentino, come dicono alcuni sulla Croisette animati da furore iconoclasta? O è bellissimo, lancinante, nostalgico, fulgido nella sua costruzione di una storia che unisce la vita, la giovinezza e una città come Napoli, così ricca di proposte di senso e al tempo stesso, eroticamente, così mancante di senso, sfuggente, indefinibile?

Cominciamo dall’inizio, da quella citazione di Céline che sta in esergo al film: “È enorme la vita, che ti ci perdi dappertutto”. Il film di Sorrentino è un po’ come la vita, sinuoso, ombroso, misterioso. Come dare conto della vita se non pescando nei suoi meandri?

Parthenope è la bambina che nasce nell’acqua negli anni Cinquanta, novella Sirena e incarnazione di Napoli. Come Napoli ha un’identità nascosta. “Sei come il miracolo di San Gennaro, un mistero”, le dice Tesorone, il losco cardinale che la vorrebbe avere. E lei ribatte: “Oppure una truffa”. Divenuta ragazza, dal ’68 agli anni Settanta e poi Ottanta vive la sua giovinezza tra Napoli e Capri, schivando sempre le trappole della vita. Capri è la giovinezza e la spensieratezza, splendente nei suoi paesaggi, sprizzante energia da ogni inquadratura. E Parthenope – che ha i tratti della giovanissima Celeste Dalla Porta – ha una bellezza solare che sembra una promessa di vita. E’ come una ragazza coniugata al futuro. Eppure è imprendibile, gli amori le scivolano sulla pelle come sembrano fare i vestiti che tuttavia non si aprono mai per svelare una nudità che non vedremo. Qualche ammiratore li annusa cercando le tracce della ragazza.

A cosa stai pensando? le chiedono a più riprese gli interlocutori. Parthenope non risponde. Oppure ha sempre la risposta giusta, come dice lei stessa degli attori dei vecchi film, che prende a modello quando pensa lei stessa di voler fare l’attrice.

Il film di Sorrentino si muove tra queste due polarità: da un lato il mistero, la fuggevolezza narrativa, la promessa di un senso a venire, dall’altro la frase esatta, anche troppo esatta. Potrebbe sembrare, in questo, un film letterario, molto scritto e pensato, benché con alcuni dialoghi assai riusciti (“Se fossi più giovane di quarant’anni mi sposeresti?”, chiede il comandante Achille Lauro a Parthenope, e lei ribatte: “No, la domanda giusta è: se io fossi più vecchia di quarant’anni tu mi sposeresti?”) Ma Parthenope è molto di più. E’ anche un film pieno di cinema, nel bene e nel male: sia quando fa aperte citazioni, come quelle felliniane da Roma o quella di Sophia Loren evocata dall’attrice Greta Cool (una Luisa Ranieri quasi irriconoscibile), forse il punto meno riuscito del film; sia quando si abbandona allo sguardo, o meglio quando costruisce progressivamente lo sguardo di Parthenope.

Tutto si gioca infatti sul vedere. Perché vedere è complicato e lei imparerà a farlo solo nella seconda parte del film, anticipando la lezione del suo mentore, quel professor Marotta (Silvio Orlando) che le svelerà una verità apparentemente, solo apparentemente, banale. Per lui, antropologo sull’orlo della pensione, l’antropologia è vedere. E vedere è l’ultima cosa che si impara. Parthenope impara a vedere a poco a poco, dapprima guardando chi le sta intorno con un misto di interesse e distanza: il fratello, che poi morirà forse anche per colpa sua, dandole un dolore che lei porterà sempre con sé; qualche ammiratore; uno scrittore di cui conosce tutti i romanzi. Poi, con più coinvolgimento, Napoli, quella città contorta nelle cui viscere si addentra anche Parthenope quando si lascia guidare da un ragazzo appartenente a una famiglia camorrista.

La Napoli che appare è una città magica e notturna, con i Quartieri Spagnoli che si fanno occhieggiare, o i bassifondi che ospitano riti che come da tradizione mescolano amore e malavita. È una Napoli imprendibile, sempre sull’orlo tra il festivo e il tragico, una città che si può afferrare solo attraverso la nostalgia di chi, andandosene, non la dimentica e se la porta dentro con le sue contorsioni. Ed è pronto a riprendersela in ogni momento.

Parthenope trabocca di tutto, dalle frasi scolpite come massime alle inquadrature ricercate e perfette nella loro semplice eleganza, a volte avvolgente. E questo può essere un aspetto irritante per alcuni, abbacinante per altri. Può suscitare quel doppio rapporto di attrazione/rifiuto che spesso lascia il cinema di Sorrentino. Che è un po’ come Napoli, magico e misterioso. Come una sirena.

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