di Silvia Panini, candidata Volt in lista Pd alle Europee – circoscrizione nord-est

Da ormai 7 mesi, a seguito del gravissimo attentato di Hamas dello scorso 7 ottobre, la popolazione palestinese nella striscia di Gaza è vittima di un feroce attacco da parte del governo israeliano. Serve un’Unione europea che prenda posizione coerentemente con i suoi valori fondanti e per mezzo di istituzioni comuni, per esprimere una sola voce nel panorama internazionale.

I numeri della tragedia umanitaria a cui stiamo assistendo in diretta sono spaventosi: 35 mila persone, di cui almeno 15 mila bambini, sono state uccise nelle offensive aeree e via terra che Israele continua a perpetrare sotto gli occhi del mondo. Gran parte delle infrastrutture nella striscia di Gaza è ridotta in macerie: oltre il 70% delle abitazioni, delle scuole, degli ospedali sono completamente distrutti, e si stima che circa 10 mila persone siano ancora disperse.

1,7 milioni di persone su 2,2, ovvero la quasi totalità della popolazione della Striscia di Gaza, è stata sfollata forzatamente e si ritrova a fronteggiare una catastrofe senza precedenti con il rischio concreto di una carestia che il governo israeliano facilita bloccando l’accesso degli aiuti umanitari salvavita ad oggi necessari per la popolazione.

Il “diritto a difendersi”, proclamato dal Premier israeliano Benjamin Netanyahu insieme a numerosi alleati internazionali, è ormai indifendibile: dall’offensiva via terra a Rafah, unico centro profughi in tutta la Striscia di Gaza, fino all’accusa di crimini di guerra e contro l’umanità da parte della Corte Penale Internazionale e alla richiesta di mandati di arresto internazionali per Netanyahu e per i leader di Hamas.

Di fronte a questo massacro solo pochi Stati europei hanno preso posizione in maniera netta. Tra questi Spagna e Irlanda che, da subito, hanno espresso solidarietà alla popolazione palestinese incrementando i fondi all’Unrwa quando a gennaio Usa, Italia, Germania, Canada e altri Stati Onu avevano deliberato un taglio ai finanziamenti per un presunto collegamento con Hamas. Sempre questi due Paesi, insieme alla Norvegia, hanno inoltre ora pubblicamente riconosciuto l’esistenza dello Stato palestinese.

Se la maggior parte dei governi europei sembrano vittime di un immobilismo diplomatico che impedisce una concreta azione di condanna e sanzionamento, lo stesso non si può dire della società civile che in questi Stati vive e vota: sono moltissime infatti le proteste dal basso che chiedono a gran voce che siano prese posizioni nette nei confronti di Israele, proteste portate avanti soprattutto da giovani, studenti e studentesse che, pur avendo subito fin dall’inizio una repressione violenta da parte delle forze dell’ordine, hanno inaugurato una stagione di “acampadas” all’interno di diverse Università in tutto il mondo, Italia compresa.

Giovani che hanno richieste semplici ma fondamentali: che si smetta con l’ipocrisia di chiamare vittime “accidentali” le migliaia di persone uccise intenzionalmente dall’IDF, come ci mostrano video e reportage di coloro che a Gaza stanno sopravvivendo e operano quotidianamente, che si smetta di giustificare lo sterminio della popolazione civile e che si rispetti il diritto internazionale.

L’immobilismo politico si può combattere solo con una politica estera e di difesa comune a tutti i Paesi europei. Parlare con una sola voce nell’arena internazionale permette maggior efficacia ma anche maggior coerenza con i valori fondanti dell’Unione europea: pace, libertà e giustizia.

Come Volt, chiediamo un cessate il fuoco immediato e permanente, e vorremmo che a chiederlo fossero in maniera unanime tutti i Paesi membri dell’Unione Europea, i suoi Alti Rappresentanti e – un giorno – il suo Ministero degli Esteri. Crediamo nello smantellamento del sistema di apartheid a cui il popolo palestinese è stato costretto da ben prima del 7 ottobre e auspichiamo il riconoscimento immediato di uno Stato palestinese autodeterminato che abbia una sua voce e un suo posto sui tavoli internazionali.

Vogliamo cambiare il modo di fare politica perché gli interessi personali di un singolo Stato non possano giustificare il voltarsi dall’altra parte di fronte alla violazione dei diritti umani fondamentali e del diritto di autodeterminazione dei popoli.

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