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Guerra e pressioni spostano gli equilibri commerciali. Gli Usa scalzano la Cina come primo partner della Germania

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La Cina allo stato non è più il primo partner commerciale della Germania. Nei primi tre mesi del 2024 il primo posto è stato preso dagli Stati Uniti, con un valore complessivo degli scambi salito a 63 miliardi di euro, contro i 60 miliardi della Cina. Emerge da calcoli effettuati da Reuters sui dati ufficiali dell’Ufficio federale di statistica e postati sul suo sito. Nell’intero 2023 Pechino aveva scambiato con Berlino beni per 253 miliardi di euro, confermandosi al primo posto per l’ottavo anno di fila. Tuttavia, ora sembrano iniziare a sentirsi gli effetti della pressione statunitense sull’Europa per spostarne gli equilibri verso l’Atlantico.

Con la guerra in Ucraina e le sanzioni alla Russia, gli Usa hanno moltiplicato la vendita di gas (in forma di gas liquefatto) all’Europa, compensando una grande parte delle forniture russe di cui la Germania era uno dei principali clienti. Prima della guerra gli Usa vendevano all’Ue circa 2 miliardi di metri cubi di gnl al mese, ora sono oltre il doppio. Inoltre Washington ha esercitato forti pressioni anche per la messa al bando di alcune tecnologie cinesi, si pensi alla strumentazioni e infrastrutture 5G realizzate da Huawei, l’azienda cinese all’avanguardia tecnologica in questo comparto.

La Germania si “allontana dal rivale di sistema Cina verso un partner transatlantico”, ha affermato Jurgen Matthes, dell’Istituto tedesco di economia di Colonia (Iw). Grazie alla forza dell’economia americana, le esportazioni tedesche hanno continuato ad aumentare, mentre sono calate quelle per la Cina, insieme alle importazioni, ha osservato Vincent Stamer, economista di Commerzbank. “La Cina è salita nella catena del valore e produce adesso sempre più beni più complessi che in precedenza importava dalla Germania”, ha aggiunto Stamer, per il quale le aziende tedesche “producono sempre più localmente invece di esportare le merci dalla Germania alla Cina”. Le tensioni geopolitiche – come la disputa su Taiwan, rivendicata da Pechino come parte “inalienabile” del suo territorio – potrebbero rafforzare ulteriormente questa tendenza.

Questo fenomeno interessa anche l’Italia che, da tempo ,vede gli equilibri della sua bilancia commerciale spostarsi verso l’America, a scapito dell’Estremo Oriente. Nei primi tre mesi dell’anno le esportazioni di made in Italy verso gli Usa sono salite di oltre il 9% mentre quelle con destinazione Cina sono calate del 46%. Allo stesso modo le importazioni dall’America sono salite del 7% e quelle dalla Cina calate di oltre il 20%. L’allontanamento del blocco occidentale dalla Cina ha dei liniti fisiologici, vista la stretta compenetrazione di alcune filiere produttive e la leadership cinese in molte della tecnologie chiave per la transizione verde. Tuttavia l’Italia potrebbe anche trarre profitto da questa evoluzione. Essendo uno dei paesi del blocco occidentale con il costo del lavoro più basso in assoluto, potrebbe rimpiazzare la Cina per alcuni tipi di forniture destinate a Usa o Germania.

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