Crime

Il delitto della “minestrina”, Francesca Moretti morta avvelenata con del cianuro nel piatto: omicidio o suicidio? Il cold case mai risolto

La sua vicenda rientra tra i cosiddetti cold case italiani, romani, per essere precisi perché questa giovane sociologa nel febbraio del 2000 morì ingerendo del “Cianuro a San Lorenzo” che è anche il titolo del libro dello scrittore di inchiesta Mauro Valentini

di Alessandra De Vita

La diatriba tra innocentisti e colpevolisti in Italia è dibattito antico e di gran lunga antecedente alla strage di Erba. C’è una ragazza che non ricorderanno in molti, passata alla storia per aver trovato la morte con una “minestrina”. La sua vicenda rientra tra i cosiddetti cold case italiani, romani, per essere precisi perché questa giovane sociologa nel febbraio del 2000 morì ingerendo del “Cianuro a San Lorenzo” che è anche il titolo del libro dello scrittore di inchiesta Mauro Valentini (premio Nadia Toffa 2023) in libreria da pochi giorni con una riedizione che racconta della storia di Francesca Moretti, “una storia di amore e di amicizia violata”, commenta l’autore che per questo libro ha riletto, come è caratteristico del suo approccio, tutte le carte degli atti di indagine in maniera approfondita ma anche critica.

Perché quello di San Lorenzo è indicato come il delitto della minestrina? La minestrina è stata nominata per la prima volta dall’accusata, Daniela Stuto, che con Francesca condivideva un appartamento nel quartiere incastonato tra la stazione Termini e l’Università La Sapienza. Ma partiamo dal principio. Chi era Francesca Moretti? La vittima Francesca Moretti ha 29 anni, è originaria di Pesaro ma si è trasferita a Roma quattro anni prima per lavorare come sociologa all’Opera Nomadi. Frequenta un ragazzo rom, Graziano, ma lui è sposato e ha cinque figli. Hanno progettato di trasferirsi a Torino ma Graziano lascia Francesca di punto in bianco.

La minestrina – È il 22 febbraio del 2000, Francesca sta male, ha un dolore terribile alla schiena a causa di un’ernia. Questione di ore e verrà ricoverata per un intervento perché il suo medico, il dottor Giuliani, pensa la situazione sia grave. Il dolore non dà tregua a Francesca che non mangia e non dorme più né sta in piedi da giorni. Questa operazione rimanderà i suoi piani. A giorni è previsto infatti il suo rientro definitivo nella sua città di origine. Una delle due ragazze con cui condivide l’appartamento le prepara una minestrina. Francesca si mette a letto, sta male, urla dal dolore. “Francesca sta male! Corri”: urla al telefono Mirela, l’altra coinquilina, al suo fidanzato poliziotto che si precipita da loro. Chiamano un’ambulanza, Francesca è diventata gonfia e violacea, si dimena. Intanto torna anche Daniela che era andata a fare la spesa. Daniela le stringe la mano, sale con lei in ambulanza mentre si corre verso il San Giovanni, l’ospedale più vicino dove entrano in codice rosso. Mentre la situazione precipita, i medici vogliono sapere quali medicine ha assunto la ragazza. Alle 19,35, la ragazza viene dichiarata morta.

I primi articoli parlano di una morte per avvelenamento da farmaci. Le indagini Il 23 febbraio a casa di Francesca ci sono tutti, anche la sorella Antonella appena rientrata dalla Spagna. I genitori Maria Assunta e Rinaldo danno l’ultimo saluto alla figlia a pochi passi da lì, nell’Istituto di Medicina legale. La pm dispone l’autopsia, sul referto medici si parla ancora di avvelenamento ma intanto dal poliziotto Altobelli, di turno all’ospedale San Giovanni era stato inviato un fax al commissariato di San Lorenzo in cui si parlava di una possibile azione suicidaria della vittima, “come riferito dalla accompagnatrice tale Stuto Daniela” che però negherà sempre questa circostanza.

L’avvelenamento – Nell’appartamento in via dello Scalo va la scientifica ma non sequestra nulla: né le siringhe nel cestino usate per gli antidolorifici né altro. Su ordine della Pm Lina Cusano verrà fatta l’autopsia prima del funerale. Da febbraio, soltanto a luglio alla pm i medici legali del laboratorio dicono cosa è accaduto realmente: Francesca è morta per avvelenamento da cianuro. Per la madre Maria Assunta, “sono stati gli zingari”, ovvero i rom, come scrive nel suo libro lo stesso Valentini.

L’indagata e il processo – La pm porterà a processo Daniela Stuto che passerà un anno e due mesi ai domiciliari. La ragazza, studentessa di psicologia e originaria di Lentini, viene assolta in primo e secondo grado. Al processo di secondo grado, partito dopo un ricorso della pm, sarà il procuratore stesso a rinunciare a procedere. La famiglia di Francesca, ormai convinta dell’innocenza di Daniela, non si è neanche costituita parte civile. Perché la pm era sicura della sua colpevolezza? Daniela durante le indagini finisce nelle intercettazioni telefoniche in cui fa delle battute a tema sessuale riferite a un’amica e queste parole per il pm sarebbero l’indizio perfetto. Per la pm Cusano è un delitto passionale a sfondo omosessuale nonostante la Stuto sia fidanzata con un uomo. Nella sua ipotesi, Daniela ha una forte passione per Francesca e non ricambiata, l’avvelena. Sfortuna vuole che durante un sopralluogo a casa degli zii di Daniela a Lentini, in campagna, venga trovato un vecchio fusto di cianuro di 40 anni prima con cui lo zio a suo dire bruciava pezzi di legno (all’epoca era consentito per uso agricolo) ma la pm non gli crede e chiede la premeditazione.

Il cianuro – A questo si aggiunge un errore nella perizia: nella prima l’avvelenamento risale alle 13,30, quindi a poco dopo che Francesca ha mangiato la minestra, la seconda invece riporta le 16 come orario dell’avvelenamento e determina che l’assunzione del cianuro è avvenuta 10 minuti prima che Francesca abbia iniziato ad avvertire forti dolori. “La mia ipotesi – spiega Valentini – è che Francesca abbia preso volontariamente qualcosa con del cianuro e non sapremo mai se per suicidarsi o se si è trattato di qualche farmaco avvelenato preso per i suoi dolori”. Ma era così facile avere del cianuro in quegli anni? Valentini, originario di Roma e che conosce bene quel quartiere ci spiega che “San Lorenzo nel 2000 era ancora pieno di artigiani che lavoravano i metalli per cui il cianuro era molto utilizzato. Lo vendevano in molti in maniera illegale, come brillantante”.

Perché Francesca avrebbe dovuto avere del cianuro? “Dalle indagini è emerso che Francesca scriveva dei diari molto cupi nel 1999. Era una ragazza triste e tormentata. Il diario del 2000 è stato bruciato dalla madre perché conteneva pensieri molti intimi ma le amiche che hanno letto hanno detto di una tristezza molto forte. Era fallita la sua esperienza all’Opera Nomadi e anche la sua storia d’amore. Francesca viveva un momento di grande difficoltà aggravato dai forti dolori alla schiena. Viveva una fase di forte prostrazione. La mia sensazione è che lo abbia ingerito da sola il cianuro. Purtroppo manca questo diario con dentro qualcosa che potesse spiegare il suo stato psicologico e soprattutto i rapporti con le persone che le stavano intorno. L’unica certezza è che ha assunto volontariamente ciò che l’ha portata alla morte: non sapremo mai se con inganno o volutamente a causa dei mancati rilievi”.

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