Nel corso della relazione annuale sulla politica dell’informazione per la sicurezza tenutasi a Palazzo Dante, Elisabetta Belloni (Direttore generale del Dis, Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) e Alfredo Mantovano (Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio)
hanno illustrato il lavoro della nostra intelligence toccando temi quali la geopolitica, il terrorismo, i conflitti mediorientali, i flussi migratori, ponendo l’attenzione sulla Russia e la Cina come Stati capaci di costituire un pericolo per l’integrità della Repubblica influenzandone le vicende politiche. Ne è seguito un articolato discorso sul tema della cybersicurezza e della ‘guerra ibrida’ condotta dai due paesi, elemento oggi primario nell’attività della nostra intelligence.

La preponderanza del ‘nemico esterno’ nella loro narrazione alimenta, forse intenzionalmente, un clima leggermente paranoico, pronto a saldarsi col pensiero di una certa opinione pubblica che stigmatizza Putin e Xi Jinping come facili e identificabili nemici della democrazia, dalle cui mani partirebbe la minaccia alla nostra integrità.

Una lezione psicoanalitica piuttosto semplice: la creazione di un pericolo esterno assolve dal compito di dover affrontare questioni interne spesso assai più spinose. Franco Fornari nel suo saggio Psicoanalisi della guerra vede la guerra, in questo caso la preparazione psicologica ad essa, come un elemento proiettivo che mira a ‘curare’ angosce paranoidi e depressive presenti in ogni essere umano. Il nemico (il ‘Terrificante’) consente a suo dire la collocazione esterna del nemico interno al corpo sociale. Quando l’individuo delega l’istituzione governativa a risolvere la propria angoscia, lo Stato si trova a gestire e a capitalizzare un’aggressività che è la somma delle istanze belligeranti di ogni singolo cittadino.

Una requisitoria così estroflessa, paranoicamente centrata sulla minaccia esterna, corre il rischio di perdere di vista l’amalgama sociale e, soprattutto, mostra la contraddizione tra i desiderata dell’intelligence e l’agire dell’esecutivo, specie nell’ultimo periodo. È infatti sulle questioni di ordine pubblico che questi due corpi dello Stato cadono in contraddizione.

Nella relazione si fa cenno, dopo aver citato l’immancabile pericolo ‘anarco-insurrezionalista’, al pericolo della ‘radicalizzazione’ che oggi sappiamo riguardare anche i cosiddetti ‘lupi solitari’, soggetti difficilmente intercettabili da un lavoro di intelligence, perché appunto slegati da organizzazioni più ampie e spesso non individuabili. La contraddizione si fonda su di un fatto innegabile: nel corso di vita di questo esecutivo ci sono state diverse forme di repressione nei confronti di quel movimento di opinione che sta, come avviene nel resto del mondo, stigmatizzando Israele chiedendo una presa di coscienza rispetto a ciò che l’Idf sta perpetrando a Gaza (si pensi agi scontri avvenuti durante le manifestazioni alla Sapienza o all’ateneo di Pisa).

Tale gestione del dissenso non fa altro che porre le basi per la creazione di un’indistinta zona ‘pro Palestina e anti Usa’ entro la quale andranno a ficcarsi cattivi maestri, cani sciolti in cerca di guerre sante da combattere o individui poco integrati nel legame sociale i quali, scorgendo un area di contrasto così ampia e una messa in atto repressiva così vigorosa, vi si arruoleranno, divenendo quei ‘cani sciolti’ dai quali l’intelligence mette in guardia.

Manganellare gli studenti che gridano al massacro in corso a Gaza attira facinorosi di ogni tipo, in cerca di luoghi di contrapposizione nei quali sguazzano. Dunque è proprio la repressione del dissenso messa in atto da questo governo ad alimentare quella zona grigia di pensiero alternativo contro la quale, giustamente, l’intelligence pone il suo sguardo alla ricerca di spunti eversivi.

Un altro aspetto contraddittorio emerge poi dal recente bando di ‘arruolamento’ di varie figure professionali che l’intelligence ha reso pubblico. Le posizioni richieste appartengono quasi esclusivamente al mondo della cybersecurity, validando l’idea che la difesa di uno Stato passi quasi esclusivamente attraverso un firewall posto a tutela della sicurezza informatica, dimenticando il fatto che qualsiasi fenomeno di radicalizzazione che prospera in rete, e da lì cerca adepti, ha sempre una base organizzativa umana che germina nelle zone opache di cui sopra.

Il fenomeno chiamato ‘radicalizzazione’ è essenzialmente un processo soggettivo che attiene alle dinamiche umane irrisolte o irrisolvibili, laddove si incrociano fattori quali marginalità, deriva sociale e tendenza alla delocalizzazione dei conflitti interiori come sopra citato. Reclutare individui radicalizzandone gli aspetti più deteriori e violenti significa annaffiare campi seminati a rancore, rivalsa sociale, senso di sconfitta. E’ in questi luoghi, ove ribollono rabbia e frustrazione, che i ‘cattivi maestri’ innestano la loro opera intenti a raggruppare e intruppare soggetti finiti ai margini della società per valorizzare le loro parti più cupe e rivendicative, illudendoli di dare forma a una loro rivalsa sociale. Carceri, sobborghi di migranti esclusi dal commercio con l’altro, uomini e donne rifiutati, privi di lavoro e futuro: sta lì il materiale umano che i reclutatori trasformano in soldati per le loro battaglie, illudendo ciascuno di poter riscattare esistenze andate alla deriva (“weaponizzazione dei flussi migratori”, la chiamano i relatori).

Per questo motivo stona, nel bando per diventare 007 appena pubblicato, la pressoché totale assenza di richiesta di professionisti che lavorino con la mente e l’animo umano, eccezion fatta per attività di ‘profilino’ inserita all’interno della categoria ‘scienze comportamentali’. Eppure per intercettare, capire, predire le mosse di tutti colori quali si muovono ai margini della legge, che poco o nulla hanno a che fare con la rete ma si trovano a loro agio nelle pieghe della città, bene sarebbe che la richiesta di conoscitori della mente umana fosse non solo ampliata, ma resa sistematica e strutturale.

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