Civil war racconta una futura guerra civile che dilania gli Usa, la seconda nella storia. Quando i sostenitori di Trump non accettarono la sconfitta elettorale, l’assalto a Capitol Hill durò a lungo e, assistendovi dalla tv, rimasi sconcertato dalla lenta reazione delle forze dell’ordine. Erano disorganizzate o aspettavano di vedere come sarebbe andata a finire?

In Civil War una parte dell’esercito si ribella al presidente, eletto per la terza volta. Non si capisce chi abbia ragione o torto: la fotografa di guerra, da veterana, spiega alla neofita che non spetta al fotografo stabilirlo. Lo deciderà chi vedrà le sue foto. E lo stesso vale per il film: non valgono ragione e diritti se si ha di fronte una persona armata, decisa ad uccidere. Nei film americani giustizia e ragione trionfano sempre, ma se si assiste ad una rissa già iniziata non si capisce chi abbia ragione; si simpatizza per chi subisce le angherie dei più forti, ma queste potrebbero essere una reazione a chi voleva imporre un’ingiustizia con la forza, pagandone le conseguenze, anche con la vita. Come è successo a Mussolini e a Hitler. Diversamente da quel che è avvenuto a Allende. Saddam Hussein fu impiccato ma non aveva armi di distruzione di massa.

Conoscendo tutta la storia potremmo decidere dove siano ragione e torto; spesso, però, la storia la fanno i vincitori, anche se non sempre: i fascisti italiani compirono massacri nella ex-Jugoslavia e la reazione fu altrettanto mostruosa: le foibe. E ora ricordiamo solo le foibe, senza che qualcuno dica: ma noi che abbiamo fatto, prima? Vengono in mente il 7 ottobre e Gaza. O i massacri nel Donbass e quelli nel resto dell’Ucraina. Ogni mostruosità ne giustifica altre, tutte da non dimenticare, anche se noi amiamo dipingerci come “brava gente”, dimenticando le nostre malefatte e, se qualcuno ce le ricorda, le giustifichiamo con le malefatte altrui.

Le regole del teatro dicono che se sulla scena c’è un fucile appeso al muro, quel fucile prima o poi sparerà. Non è raro, in certi stati Usa, vedere un pick-up con un Winchester appeso al lunotto posteriore. Chi segue quel pick-up sa che quel fucile potrebbe essere usato e se il guidatore fa qualcosa di strano si guarda bene dal protestare, a meno di avere un altro Winchester in cabina. In un video sulle armi una ragazza racconta della sua famiglia sterminata al ristorante: entra un tale e comincia a sparare, uccide diverse persone prima di prendere di mira il suo tavolo. Lei si salva gettandosi a terra. Senti la storia e ti convinci che sia una follia permettere a tutti di procurarsi armi. Ma la ragazza continua: vado al poligono e sono brava a sparare; se avessi avuto con me la mia 44 avrei potuto abbattere quell’assassino prima dello sterminio della mia famiglia. Il video è della Rifle Association e il messaggio è: armiamoci e stiamo pronti al fuoco. Per difenderci, è ovvio.

I delinquenti non chiedono il permesso di armarsi, si armerebbero anche se fosse vietato, ma ci penserebbero due volte a usarle se sapessero che anche gli altri sono armati. Viene in mente la deterrenza, invocata per garantire la pace. Chi ha le armi prima o poi le usa.

La questione dell’ambiente è speculare a quella delle armi. Una rivista scientifica mi ha commissionato un articolo sulla gestione sostenibile dell’ambiente marino. Ho iniziato a scriverlo affermando che l’Europa ha deciso unilateralmente di gestire in modo sostenibile il suo territorio con il Green Deal e con una serie di Direttive molto sensibili allo stato di biodiversità ed ecosistemi, di recente inseriti nell’Articolo 9 della nostra Costituzione. Se tutti aspettassero che fossero gli altri ad iniziare a curarsi dell’ambiente, nessuno inizierebbe: come c’è la corsa agli armamenti, così c’è la corsa all’inquinamento, ma sia la pace sia la sostenibilità sono considerate ostacoli alla crescita economica.

Per l’ambiente, l’Europa ha deciso di non adottare queste logiche suicide, ma dovrò riscrivere l’articolo: Ursula Von der Leyen, madre del Green Deal, lo mette da parte e intende armare l’Europa. Se alle elezioni europee vincerà chi inneggia agli armamenti, usando la logica della ragazza pistolera che aveva lasciato a casa la Colt, la spirale continuerà. In Civil War non riusciamo a capire chi abbia torto e chi ragione. La guerra civile non si ferma fino a che una parte vince e l’altra perde, senza prigionieri. Si può fare diversamente?

Noi lo abbiamo fatto. Il 25 aprile festeggia la Resistenza, una guerra civile. Civili e militari si armarono e combatterono contro chi deteneva il potere (i fascisti), riscattando in parte la vergogna del fascismo. I fascisti, però, furono amnistiati da un comunista (Togliatti) e non furono tutti messi al muro, come fecero loro con i partigiani. Mussolini fu appeso a un distributore di benzina dove i fascisti fucilarono quindici partigiani. Barbarie chiama barbarie. Ma bisogna fermarsi, fare pace, se si vuole il lieto fine. Noi lo abbiamo fatto, dopo la Liberazione, ma oggi la pace è considerata una sconfitta, come in Civil War.

Buon 25 aprile, viva l’Italia antifascista e viva il comunista Togliatti che, con l’amnistia, interruppe la spirale di violenza. Viva anche Pertini che, a Genova, innescò la reazione alla restaurazione fascista del governo Tambroni. Perdonare sì, dimenticare no.

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