Mancano due mesi alle elezioni e la responsabilità di sottoscrivere un nuovo Patto di stabilità che imporrà all’Italia strette di bilancio da circa 13 miliardi l’anno non la vuole nessuno. È così presto spiegato il fuggi fuggi dei partiti italiani dal voto finale al Parlamento Ue sulla riforma della governance economica approvata a dicembre dal Consiglio europeo e su cui due mesi fa è stato raggiunto un accordo tra governi, Commissione ed Eurocamera. Il via libera definitivo è arrivato con 359 sì, 166 no e 61 astensioni. La maggior parte delle quali di eurodeputati italiani: non senza imbarazzi, l‘intera maggioranza compresa la Lega si è astenuta sul testo negoziato dal suo ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e lo stesso ha fatto il Pd del commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni. “Abbiamo unito la politica italiana“, il commento ironico dell’ex premier, che per giustificare la posizione dei dem ha evocato “ragioni di politica interna”. Pur di prendere le distanze dalle nuove regole di bilancio, democratici e azzurri si sono sfilati da quel che resta della “maggioranza Ursula”: Socialisti, Partito popolare europeo e Renew si sono espressi a favore (con l’eccezione dell’ex M5s Fabio Massimo Castaldo). Contrari invece i 5 Stelle. A favore si sono espressi solo quattro eurodeputati italiani: Lara Comi (Forza Italia) e Herbert Dorfmann (Svp) per il gruppo del Ppe e Marco Zullo di Renew. Oltre a Sandro Gozi, che però è stato eletto in Francia con Renaissance. Stessa geometria per i due voti sul braccio preventivo e quello correttivo del Patto.

Il Carroccio ha giocato di equilibrismo per non sconfessare platealmente il “suo” ministro, che del resto non ha nascosto di aver accettato obtorto collo una soluzione sfavorevole per l’Italia. La delegazione leghista ha fatto sapere infatti che i provvedimenti sono “migliorati rispetto alla proposta iniziale grazie al lavoro e all’impegno del ministro Giancarlo Giorgetti” ma “rappresentano un compromesso che purtroppo presenta ancora elementi critici” e “un’occasione mancata da parte dell’Ue, che anziché puntare su un netto cambiamento rispetto al passato, ha scelto di non voltare radicalmente pagina rispetto a un modello economico che ha mostrato in questi anni tutti i suoi limiti, in cui prevale l’aspetto dell’austerity”. A seguire, un riassunto del programma elettorale: “Con un’altra maggioranza in Europa, nei prossimi anni sarà possibile apportare quelle modifiche necessarie, verso una maggiore flessibilità e più investimenti pubblici”.

Il Pd di Elly Schlein, che a dicembre aveva bocciato il “cattivo compromesso” approvato dall’Ecofin, ha optato a sua volta per l’astensione “perché riteniamo che il testo uscito dal negoziato con il Consiglio sia eccessivamente peggiorativo, non soltanto rispetto alla proposta originaria del commissario Gentiloni che abbiamo sostenuto, ma anche della posizione del Parlamento Europeo, specialmente se guardiamo agli interessi dell’Italia”, ha spiegato Brando Benifei. Contrario solo Andrea Cozzolino, che si è accodato agli auspici espressi nel frattempo dal deputato ed ex ministro del Lavoro Andrea Orlando: “Spero che il nostro gruppo a Strasburgo bocci con nettezza la proposta di riforma” perché “un voto diverso finirebbe per annacquare un giudizio negativo sulla insipienza negoziale del nostro governo e sul tradimento che il Consiglio Ue ha compiuto rispetto all’ottima proposta della Commissione, realizzata grazie al prezioso lavoro di Gentiloni”. Quest’ultimo però, pur ammettendo che il testo “non è perfetto”, ha difeso la bontà del compromesso su regole “più flessibili, più orientate alla crescita, più credibili nella loro attuazione”. E si è spinto a dire che è “l’insieme di regole di cui abbiamo bisogno per affrontare con fiducia le sfide attuali e future. Consentirà una riduzione graduale del debito pubblico senza compromettere la crescita. E ci aiuterà a a proteggere il livello degli investimenti pubblici”.

I contrari avvertono che i nuovi paletti, che imbriglieranno i conti a partire dal prossimo anno, impongono un ritorno dell’austerity. “Dopo l’approvazione del Next Generation Eu, la riforma del patto di stabilità è sicuramente quella più importante di questa legislatura. Eppure, sta passando in sordina. Nessun leader europeo oggi a tagliare i nastri”, dice Tiziana Beghin, capodelegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento Europeo. “Come mai questo silenzio? Si vuole nascondere a poche settimane dalle europee il ritorno dell’austerity? Con queste nuove regole l’Europa imporrà tagli di 12/13 miliardi l’anno all’Italia: significa meno soldi per sanità, scuola, trasporti, investimenti. Taglieranno su tutto tranne che per la difesa”. Il capogruppo 5 stelle alla Camera, Francesco Silvestri, accusa la maggioranza di aver “sfiduciato di fatto il proprio ministro Giorgetti che lo aveva negoziato”.

Di certo c’è che la strada per la preparazione della prossima legge di Bilancio ora diventa strettissima. Solo per confermare gli interventi bandiera del governo, dal taglio del cuneo fiscale alla conferma dell‘Irpef a tre aliquote, servono 20 miliardi. Sommando l’aggiustamento che sarà richiesto all’Italia per rispettare la procedura per deficit eccessivo destinata ad aprirsi dopo le Europee si sale – al netto delle possibili circostanze attenuanti di cui la prossima Commissione potrebbe tener conto – oltre i 30 miliardi. Il momento della verità arriverà a settembre, quando è prevista la presentazione del Piano strutturale di bilancio sulla base della “traiettoria di riferimento” per la spesa primaria messa a punto da Bruxelles entro fine giugno. Lì si capirà quali misure saranno prorogate e che destino avranno le ultime promesse dell’esecutivo. Vedi il bonus sulle prossime tredicesime per chi ha redditi fino a 15mila euro.

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