La figura Vincenzo Agostino deve continuare a essere “uno sprone nella costruzione di una città degli uomini giusta e solidale, libera dalle strutture di peccato, come la mafia, che generano scarti umani e seminano sofferenza, sopruso, collusioni, oppressione e morte”. È l’auspicio dell’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, ricordando il padre di Nino Agostino, il poliziotto ucciso da Cosa Nostra assieme alla moglie, Ida Castelluccio, l’8 agosto 1989.

Il signor Agostino si è spento ieri a 87 anni: per quasi 35 si è battuto per ottenere la verità sulla morte del figlio, le cui indagini furono ripetutamente insabbiate. Da quel giorno Vicenzo non ha più tagliato la barba e i capelli: l’avrebbe fatto – come promesso davanti alla tomba del figlio – solo dopo che fosse stata fatta verità sui mandati del duplice omicidio e sul depistaggio delle indagini. Sua moglie, Augusta Schiera, era morta nel 2019, ma Vincenzo Agostino ha continuato senza sosta la sua battaglia fino all’ultimo giorno della sua vita. Da quell’agosto del 1989 era spesso presente al palazzo di giustizia di Palermo, dove si recava in procura a chiedere novità sulle indagini. Agostino aveva anche capito la cosa fondamentale era comunicare ai giovani una serie di valori per cercare di seminare qualcosa per un futuro diverso. La sua storia è diventata anche un docufilm, Io lo so chi siete” di Alessandro Colizzi, scritto da Silvia Cossu: sarà trasmesso in Rai il 7 maggio.

I funerali di Agostino saranno celebrati il 23 aprile alle 11 nella Cattedrale di Palermo. Il rito sarà presieduto dall’arcivescovo, mentre la camera ardente è stata allestita alla caserma Lungaro. “Sin dal mio arrivo a Palermo ho stretto un rapporto di amicizia e di reciproca stima con Vincenzo e Augusta Agostino, attratto dalla loro indefettibile rettitudine umana e dalla sobrietà della loro salda fede. La lunga barba bianca di Vincenzo Agostino ha rappresentato per noi tutti il segno di un impegno di cittadinanza responsabile e attiva. Ma soprattutto un pungolo e uno sprone alle istituzioni per giungere alla verità – non ancora arrivata nella sua interezza – sull’assassinio del figlio Nino e della moglie incinta Ida Castelluccio, uccisi nel 1989 dalla perfidia mafiosa ma anche oltraggiati dai subdoli tentativi di insabbiamento e depistaggio messi in atto dopo il tragico e drammatico evento”, ha detto Lorefice. “La sua ricerca della verità, sospinta anche dall’amore di padre e di nonno – ha proseguito -, è stata condivisa da tutti coloro che ogni giorno si impegnano – proprio sulle orme dei tanti martiri della giustizia e della legalità – a resistere alla tracotanza e alla violenza del menzognero potere mafioso. In una città che ha assistito al sacrificio di tanti uomini e donne delle istituzioni, della società civile e della Chiesa palermitana, possa la sua credibile e costante testimonianza continuare a essere uno sprone nella costruzione di una città degli uomini giusta e solidale, libera dalle ‘strutture di peccatò, come la mafia, che generano scarti umani e seminano sofferenza, sopruso, collusioni, oppressione e morte”.

Fondamentali per capire la valenza di Agostino sono pure le parole di Roberto Scarpinato, senatore M5s ed ex procuratore generale di Palermo. “Una volta mi disse ‘le stragi di Capaci e via D’Amelio sono iniziate a casa mia’. È stata un’intuizione profonda a cui è arrivato con il cuore e che le nostre indagini hanno confermato”, ha detto l’ex magistrato in un’intervista a Repubblica Palermo. Da procuratore generale Scarpinato ha avocato l’indagine sull’omicidio Agostino: quell’inchiesta ha poi portato alla condanna in Appello del boss Antonino Madonia, mentre per Gaetano Scotto il processo è alle battute finali. “Con l’indagine sul figlio abbiamo toccato il fondale, purtroppo imperscrutabile, dei rapporti fra le mafie e lo Stato profondo di questo Paese”, ha aggiunto Scarpinato. “Purtroppo – ha proseguito il senatore – la sensazione è che anche ad occhi aperti, ci si ostini a non vedere. In primo luogo perché la comunità è stata privata degli strumenti per farlo. Abbiamo assistito ad una sorta di infantilizzazione della storia della stagione delle stragi. Attribuire tutto solo a Totò Riina e ai suoi, elidendo il ruolo dello Stato profondo, dell’eversione nera, come il peso del contesto internazionale, è questo. Ma la gente ricorda quello che le classi dominanti vogliono che ricordi”.

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