Maratona di audizioni sul Def davanti alle commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato. Prima a pronunciarsi sul Documento di economia e finanza “dimezzato”, presentato da Giancarlo Giorgetti lo scorso 9 aprile, è stata la Banca d’Italia. Secondo le valutazioni di via Nazionale le previsioni per l’economia italiana si discostano solo lievemente dal Def (+0,6% il Pil 2024 secondo Banca d’Italia, +1% secondo il governo) ma “i rischi per la crescita rimangono orientati al ribasso“, ha detto Sergio Nicoletti Altimari, capo dipartimento Economia e Statistica di Bankitalia citando tra i fattori di rischio il commercio internazionale, gli effetti della politica monetaria restrittiva sulla domanda e gli effetti negavi sul comparto edilizio dalla riduzione superbonus. “Il contributo fornito dall’attuazione piena ed efficace degli investimenti del Pnrr è quanto mai decisivo per conseguire i tassi di sviluppo delineati nel quadro del governo”, sottolinea quindi Nicoletti Altimari.

Sui conti pubblici ha pesato, come noto, il costo del superbonus che nel 2023 è pari a 3,7 punti di Pil ovvero 77 miliardi, “5 volte superiore” a quanto il Def 2023 calcolava sarebbe maturato entro l’anno. Banca d’Italia avvisa pertanto che “Un’ulteriore proroga di natura temporanea degli sgravi contributivi (promessa da Giorgetti,ndr) accrescerebbe l’incertezza sull’evoluzione futura dei conti pubblici“. In questo caso il “disavanzo sarebbe superiore rispetto a quello tendenziale a legislazione vigente di circa un punto percentuale del Pil in media d’anno nel triennio 2025-27, rimanendo al di sopra del 3% in tutti gli anni dell’orizzonte previsivo”. Quanto alla spesa sanitaria, la l’istituto centrale avverte che in rapporto al Pil rimarrebbe sostanzialmente invariata fino al 2027 (intorno al 6,3 per cento). In prospettiva, andranno tuttavia attentamente gestite le pressioni sulla spesa sanitaria che potranno derivare dall’invecchiamento della popolazione“.

Corte dei Conti – Sempre in tema di conti pubblici, i magistrati contabili avvertono che “Se nel triennio post pandemico il miglioramento del rapporto debito/Pil è stato più significativo di quanto atteso, sono molte le ragioni che rendono impegnativa la sfida della riduzione del rapporto nel breve e, soprattutto, nel medio termine”. La Corte precisa che “ai fini della tutela della finanza pubblica e indipendentemente dagli obblighi europei e dalla relativa sorveglianza, posizioni debitorie eccessive finiscono per esporre il sistema economico a rischi di instabilità“.

Per la Corte comunque “condizioni favorevoli per un rientro graduale e sostenibile non mancano”. Il Def, si avvisa però nell’audizione, ridimensiona la stima delle privatizzazioni rispetto alla Nadef e ne ridetermina il timing: si tratta ora di risorse pari, cumulativamente, a 7 decimi di Pil nel triennio 2025-27, a fronte di stime per 1 punto di Pil nel triennio 2024-2026. La Corte evidenzia che “sarebbe importante che nel Piano strutturale di bilancio a medio termine si desse circostanziato e dettagliato conto del ruolo che potrebbero e dovrebbero avere, nella visione programmatica del governo, le politiche di gestione attiva degli asset pubblici nel prossimo futuro; ciò anche al fine di poter apprezzare la plausibilità delle stime ed evitare gli scostamenti che si sono non di rado registrati nei lustri scorsi tra risultati e previsioni iniziali”.

“La gestione della finanza pubblica continuerà ad essere difficile: risulterà impegnativo trovare le risorse per far fronte ai fabbisogni per le politiche invariate; occorrerà, inoltre, individuare le risorse per far fronte ad esigenze settoriali (la sanità o l’assistenza), per la riforma fiscale o anche per sostenere gli investimenti, specie quelli che, eliminati dal Pnrr o dal Pnc, devono trovare nuove coperture”, sottolinea la Corte che guarda con preoccupazione anche alla sanità pubblica. “Le misure finora assunte non sembrano in grado di rispondere strutturalmente alle difficoltà che caratterizzano ormai in maniera diffusa tutte le strutture pubbliche”, documentano i magistrati contabili, precisando che “il fabbisogno del settore sanitario, come altri del sistema di welfare, dovrà essere attentamente riconsiderato per evitare che il rispetto delle traiettorie di spesa si traduca in un progressivo decadimento della qualità dell’assistenza pubblica o che impedisca una compiuta (e quanto mai necessaria) riforma dell’assistenza territoriale”.

La Corte rimbrotta infine il governo per i tantissimi condoni. Gli interventi legislativi introdotti recentemente o in corso di adozione non appaiono pienamente coerenti con l’esigenza di indurre una maggiore tax compliance. Sempre in tema di riscossione, si deve rilevare l’assenza, nello schema di decreto legislativo, di una effettiva strategia in tema di riscossione coattiva”, prosegue, ricordando di avere “da tempo segnalato i limiti giuridici e organizzativi che ostacolano le procedure di riscossione”.

La valutazione dell’Istat – Sulle prospettive future dei conti pubblici italiani “pesano le incertezze sull’evoluzione dell’economia, legate soprattutto alle incognite dello scenario geopolitico”: è quanto messo in luce dagli economisti dell’Istat durante la loro audizione. L’Istituto di statistica ricorda quindi come “sarà importante garantire la piena realizzazione degli investimenti pubblici e delle riforme previste dal Pnrr“.

Ufficio parlamentare di bilancio – Il superamento “non temporaneo” della soglia del 3% nel rapporto deficit-Pil rende “molto probabile” l’avvio di una procedura per disavanzo eccessivo nei confronti dell’Italia, rammenta l’Upb nell’audizione sul Def. “Dopo un triennio di discesa del rapporto tra il debito pubblico e il Pil, lo scenario tendenziale del Def prevede un aumento dal 2024 al 2026 per complessivi 2,5 punti percentuali e una lieve riduzione di 0,2 punti percentuali solo nel 2027, raggiungendo il 139,6 per cento”. “Per raggiungere entro la fine del decennio la situazione pre-pandemica del 2019, quando il debito era pari al 134,2 per cento del prodotto, dovrebbero realizzarsi riduzioni del rapporto nel triennio 2028-2030 pari, in media, a circa 1,8 punti percentuali di Pil all’anno”, ha indicato la presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio Lilia Cavallari secondo cui “Un contributo all’attenuazione del trend di crescita del debito – ha sottolineato -lo darà il piano di privatizzazioni, con un valore cumulato di circa l’1 per cento del Pil nell’orizzonte 2023-2027 (0,7 nel periodo 2025-2027)”.

I timori dei sindacati – “La totale mancanza del quadro programmatico rende difficile una valutazione compiuta del Def. Aver deciso di far conoscere le cattive notizie solo dopo le elezioni europee rappresenta un grave vulnus democratico: i cittadini hanno il diritto di votare a ragion veduta. Il Def è gravemente incompleto e non mancano elementi di grande preoccupazione”. Così il segretario confederale della Cgil, Christian Ferrari, in audizione. “La verità – prosegue – è che per la prossima manovra di bilancio mancano all’appello almeno 25 miliardi di euro e solo per confermare l’esistente”. Il sindacato sottolinea poi le incertezza che gravano sugli sgravi contributivi attualmente applicate alle buste paga.

La Cisl afferma che “prende atto della scelta e delle motivazioni del governo nel presentare un testo senza previsioni programmatiche, nella necessità, come affermato dal Consiglio dei ministri, di attendere la conclusione dell’iter di approvazione delle nuove regole di programmazione economica dell’Ue, che introducono il Piano fiscale strutturale di medio termine. La Cisl ritiene importante che l’esecutivo abbia concordato questo passaggio con la Commissione europea, per evitare che la mancata presentazione dei dati programmatici producesse problemi sui mercati”. A parlare è il segretario confederale Ignazio Ganga. Infine la Uil rimarca, a sua volta, che l Def “è un contenitore senza contenuti“, un documento “pre-elettorale, che aspetta le elezioni europee”. Lo dice la segretaria confederale della Uil, Vera Buonomo.

L’ottimismo di Confindustria – “Guardando in avanti, al resto del 2024 e al 2025, oltre al recupero della domanda mondiale, vi sono due potenti stimoli alla crescita italiana. Il primo driver di crescita sarà il taglio dei tassi di interesse” che dovrebbero iniziare a scendere “a giugno 2024, al più tardi a luglio. Il secondo driver di crescita nel biennio è l’attuazione del Pnrr, la cui implementazione richiederà di riuscire a spendere 100 miliardi di euro, una somma importante”. Così Confindustria, in audizione sul Def. Sul Pnrr “nei prossimi mesi sarà ancor più rilevante assicurare la tempestiva ed efficace implementazione e, quindi, l’effettiva messa a terra delle risorse, rispetto alle quali, ad oggi, registriamo ancora significative incognite, soprattutto in merito agli investimenti pubblici”, afferma Confindustria ribadendo che questa “è una sfida da vincere”. Come d’abitudine, gli industriali chiedono poi meno tasse e propongono di “proseguire nel processo di riforma organica del fisco, intervenendo in particolar modo sulla struttura sostanziale dei tributi, nell’ottica di una loro riduzione e razionalizzazione”.

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