Una fregola guerriera pare attraversare il mondo. Hamas ha compiuto atti terroristi e auspica la distruzione di Israele. Gli Israeliani bombardano e minacciano, gli Iraniani replicano decuplicando le promesse di ritorsioni. Zelensky usa parole di fuoco che fanno il paio con quelle di Medvedev. Tutti promettono distruzione del nemico. Biden apostrofa in malo modo, come dittatore sanguinario, il suo avversario e viene ricambiato con commenti che lo fanno apparire rimbambito. Anche l’Europa per bocca del rappresentante Affari esteri Borrell esprime propositi belligeranti in quanto “occorre sconfiggere l’avversario”.

Molti commentatori ritengono che l’uomo sia sostanzialmente tranquillo e che la guerra sia un evento patologico. Una sorta di anomalia catastrofica della storia rispetto alla pacifica consuetudine della vita umana. E se fosse vero il contrario? Se l’aggressività che sfocia nella guerra fosse un elemento fisiologico, normale, della natura umana?

Esprimere schifo, orrore e riprovazione verso la guerra non mi pare che abbia portato a grandi risultati ma ha anzi accresciuto istinti feroci nelle pieghe delle società. Le esecrazioni rituali verso gli orrori della prima e seconda guerra mondiale non paiono in grado di cambiare il corso degli eventi che, spediti, si dirigono verso il prossimo conflitto. La voglia di menare le mani, che ricorda l’immagine proposta dai futuristi della “Guerra igiene del mondo”, sempre più diviene parte dell’immaginario di molti uomini apparentemente pacifici. In realtà sono pacifici fino a che non si toccano i loro interessi particolari. Appena capita che qualcuno turbi e metta in discussione certi privilegi o semplici abitudini compare prepotente la voglia di “mettere tutti in galera” e “tenere lontani gli stranieri a costo di ammazzarli”.

Ogni giorno scopriamo che il vicino di casa che tutti ricordano come “così buono” uccide in modo efferato ed è disposto a delegare l’uccisione di altri uomini a milizie prezzolate purché non turbino la sua vita serena. Tanti inneggiano a un mondo che vada al contrario di come sta andando, perché a loro avviso va al contrario di come dovrebbe andare. Insomma tutti vogliono decidere quale sia la direzione giusta del mondo e non accettano che il mondo se ne freghi di loro.

Noi esseri umani dobbiamo rassegnarci all’idea che siamo predisposti alla guerra e che, anzi, la guerra per imporre le nostre idee e il nostro punto di vista sugli altri fa parte della nostra natura. Solo in questo modo , forse, potremo tenere la guerra sotto un certo livello di controllo.

Gli uomini accettando di essere naturalmente portati alla guerra possono cercare un modo per farla “in modo controllato”. Bisogna diffidare dei governati che ritengono di essere nel giusto a prescindere, che si ritengono superiori moralmente e affermano “Dio è con noi!”. Costoro demonizzano il nemico, rendendolo disumano nelle menti, un orco come avviene nelle favole. Questo pensiero risulta un modo per non poter mai fare la pace e pensare che ci siano solo due possibilità: la sconfitta e la vittoria. Quindi guerra fino alle estreme conseguenze.

Molto meglio dei governanti meno ideologici che in modo pratico valutano che vantaggio o svantaggio potrà scaturire da un conflitto. Se c’è un interesse pratico a una guerra regionale potrà essere attuata, senza però ammantarla di lotta fra “il bene e il male”. Occorre che ognuno di noi, nel suo piccolo, accetti l’idea di essere aggressivo e portato alla guerra per imporre i suoi punti di vista. Da questa autoconsapevolezza derivano elementi positivi: il primo e più importante è l’accettazione del non essere buoni per definizione e pensare che sono sempre gli altri che hanno iniziato a menare le mani (spesso sono una serie di eventi con dispetti e scaramucce reciproche ad aver innescato il conflitto).

Il secondo è un approccio pragmatico alla guerra in cui si valutano i pro e i contro senza l’autodefinizione di “giusti” che costi quel che costi porteranno avanti il conflitto fino allo stremo. Il terzo aspetto, pragmaticamente positivo, è la consapevolezza che la pace la si farà necessariamente col nemico. Riconoscere alcuni dei suoi punti di vista è quindi necessario, senza rifugiarsi nell’idea consolatoria che noi siamo quelli buoni e bravi e loro sono orchi cattivi.

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