Dal Brasile di Lula e da una preparata e potente generazione di attiviste e attivisti, che si spendono quotidianamente per gli ultimi, arrivano promettenti notizie per chi combatte il razzismo nel mondo. Il governo del Brasile ha fatto sua la grande frase di Angela Davis che ci ha insegnato che non è sufficiente non essere razzisti ma bisogna essere antirazzisti, e ha lanciato l’obiettivo dello sviluppo sostenibile numero 18: promozione dell’uguaglianza etnico-razziale.

Si tratta di un obiettivo che si aggiunge (in modo volontario e solo in Brasile) ai 17 già presenti nell’agenda 2030, il famoso piano di sviluppo sostenibile globale lanciato a New York dalle Nazioni Unite nel settembre del 2015 e che sarà in vigore appunto fino al 2030. L’idea è quella di affrontare il razzismo e promuovere l’uguaglianza razziale attraverso un’iniziativa volontaria brasiliana che aggiunge e sottolinea la lotta contro la discriminazione razziale all’agenda globale come chiave per raggiungere lo sviluppo sostenibile.

Questo nuovo impegno politico da parte del gigante sudamericano è stato reso noto dallo stesso presidente Lula Ignacio da Silva il 19 settembre 2023, durante il suo discorso al 78esimo periodo di sessione dell’Assemblea Generale dell’Onu (minuto 6 del suo intervento), dove il presidente brasiliano ha affermato che la disuguaglianza è alla radice del razzismo, dell’intolleranza e della xenofobia, sottolineando l’urgenza di lottare in modo coordinato contro questi fenomeni.

Non si tratta però di un proclama vuoto, ma di una reale politica che sta già mettendo radice nell’azione di governo e nelle politiche diplomatiche con gli alleati della regione latinoamericana e non solo. In preparazione infatti di quello che sarà un atteso (e possibilmente teso) G20 a Rio de Janeiro ra il 18 e 19 ottobre 2024, si sta già lavorando nel Ministerio di Uguaglianza Razziale (MIR per la sua sigla in portoghese) e nel Ministerio dei Popoli Indigeni (MPI) per offrire dei risultati tangibili dell’azione di governo.

I due ministeri sono guidati da due donne forti e insorgenti, Anielle Franco (38 anni) e Sônia Guajajara (50 anni) che non si sono risparmiate dal giorno del loro insediamento per combattere strutturalmente il razzismo nel paese sudamericano. Entrambe vengono dall’attivismo (Anielle è la sorella di Marielle Franco, brutalmente uccisa insieme ad Anderson Gomes il 14 marzo 2018) e rappresentano una società civile attiva e audace, che non si è piegata alla “notte dei diritti” dell’epoca Bolsonaro.

Anielle è stata inclusa nel 2023 tra le 12 donne dell’anno dalla rivista Time e recentemente il Foro Economico Mondiale l’ha nominata come una delle 40 “young global leaders” per questo 2024. Dal canto suo Guajajara ha ricevuto l’Ordine al Merito Culturale brasiliano nel 2015, è stata nominato dalla rivista Time come una delle 100 donne più influenti nel mondo nel 2022 e nel 2023 è stata inclusa nella lista delle 100 donne della Bbc. Di questi giorni inoltre la notizia che proprio Sônia Guajajara riceverà un dottorato Honoris Causa dall’Università dello Stato di Rio de Janeiro, diventando la prima persona indigena a ricevere questa distinzione.

Dal MIR arrivano anche le parole di Roberta Eugênio, la segretaria esecutiva del Ministero, che sottolinea come quella dell’ODS 18 sia “un’iniziativa coraggiosa per smuovere le strutture che perpetuano le realtà di esclusione e oppressione di maggioranze storicamente vulnerabili. È un segnale che salvaguarda in modo molto coerente il ruolo di leadership del Brasile nella comunità internazionale e indica anche l’agenda del nostro Paese”. Parole che fanno eco a quelle di Juma Xipaia, segretaria nazionale per l’articolazione e la promozione dei diritti degli indigeni, che ha spiegato come “il razzismo che colpisce i popoli indigeni è multidimensionale e implica visioni pregiudiziali sulla diversità delle culture e dei modi di vita, visioni che impediscono la realizzazione dei diritti sui territori ancestrali”.

Un quadro d’azione articolato che per avere successo ha bisogno però di appoggio politico, finanziamento e interconnessione con gli altri 16 ministeri del governo brasiliano. Ed è proprio in quest’ottica che è stato lanciato dal governo federale nella data simbolo del 21 marzo (giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale) un pacchetto di misure che coinvolgono tutti e 18 i ministeri, con l’obiettivo di promuovere l’uguaglianza razziale e creare un paese dove la diversità sia un valore e dove nessuno sia escluso e rimanga indietro.

Tra queste misure spicca per esempio il piano “Juventude Negra Viva”, un piano di più di 200 azioni interministeriali che hanno come obiettivo ridurre la violenza letale contro la gioventù nera e combattere la vulnerabilità sociale che spesso vive questa gioventù, garantendo accesso all’educazione, al lavoro, alla salute, alla casa, alla cultura e ad un contesto di vita sicuro.

A 20 anni dalla creazione del Seppir (Segretariato nazionale per le politiche di promozione dell’uguaglianza razziale), dell’inizio da parte di Lula di politiche pubbliche a livello federale per l’uguaglianza razziale e della legge nº 10.639/2003, (legge che rese obbligatorio l’insegnamento della storia e della cultura afrobrasiliana e africana nelle scuole pubbliche e private di insegnamento medio e di base) l’antirazzismo fa un nuovo, grande passo in avanti in Brasile.

Perché se come diceva Galeano è l’utopia che ci aiuta a camminare verso l’orizzonte, questi esempi virtuosi che arrivano dai governi progressisti dell’America Latina ci spingono a non smettere di pensare a quel “otro mundo posible”, che in questo contesto globale e generalizzato di odio e violenza a volte rischia di essere dimenticato.

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