L’inflazione in Argentina è in calo, ma resta sopra le due cifre. In un nuovo rapporto, l’Istituto di statistica dei lavoratori dell’Università metropolitana per l’educazione e il lavoro, assieme al Centro per il concerto e lo sviluppo, ha registrato che nel solo mese di marzo la crescita dei prezzi si è attestata al 10,4%, portando il dato dell’ultimo anno al +303,2% e quello del primo trimestre 2024 al +56%. “Stiamo vedendo che, attraverso una deliberata liquefazione del potere d’acquisto, si sta concretizzando l’obiettivo centrale della politica del governo: produrre un aggiustamento economico volto a risparmiare nel peggiore dei modi e disciplinare i lavoratori con il conseguente aumento della povertà e della disoccupazione. Un governo che ironicamente afferma di sostenere i sindacati liberi, ma non li approva e accusa di pratiche tariffarie abusive, come il pagamento anticipato, che esso stesso promuove”, ha attaccato il presidente del Consiglio accademico dell’Umet, Nicolás Trotta. Il report descrive la triste fotografia di una realtà in cui il calo del potere d’acquisto dei salari è stato pari al 19% su base annua a gennaio: un dato simile a quello del 2002, uno degli anni simbolo della crisi economica argentina e del fallimento delle politiche turbo-neoliberiste.

Una situazione drammatica che si sta riverberando in modo violento dentro le università. Il Consiglio superiore dell’ateneo di Buenos Aires ha affermato in un comunicato che, “nelle condizioni attuali, la possibilità di mantenere tutte le attività volte a garantire la qualità dell’istruzione, la continuità della ricerca, l’estensione e la funzione assistenziale è seriamente compromessa. L’istruzione pubblica”, prosegue la dichiarazione, “è il fiore all’occhiello della società argentina, basata sui pilastri della laicità, della gratuità, dell’autonomia, dell’inclusione, dell’insegnamento di altissima qualità, dello sviluppo della ricerca e dell’impegno nell’ambiente sociale, e pertanto richiede un finanziamento adeguato per lo sviluppo delle sue attività”. Anche se i costi sono stati triplicati dall’inflazione, infatti, il governo di Javier Milei ha deciso di confermare il presupposto del 2022, ovvero destinare alle Università del paese la stessa somma che hanno preso lo scorso anno. Fondi che per l’Università della capitale bastano per coprire i costi solo fino a maggio, “non un giorno di più”.

Per il 23 aprile è stata convocata una mobilitazione nazionale di tutte le Università per rifiutare i tagli al bilancio varati dall’esecutivo, e nello specifico quelli all’istruzione. “Come faranno le università a far fronte ai costi operativi quest’anno? Non lo sappiamo. Questo mette direttamente a rischio il nostro diritto di accedere a un’istruzione di qualità, oltre a incidere sullo sviluppo scientifico e tecnologico e a incidere sulle politiche di welfare studentesco che garantiscono l’accesso e la permanenza di migliaia di studenti. È urgente che il bilancio universitario venga aumentato in linea con l’inflazione per garantire che le nostre università possano continuare a funzionare e a forgiare il futuro del nostro Paese”, denuncia la Federazione universitaria argentina. Nel frattempo la Federazione nazionale dei docenti universitari ha proclamato uno sciopero di 48 ore per il 10 e 11 aprile: i lavoratori e le lavoratrici chiedono un aumento di stipendio e l’aggiornamento della garanzia salariale, un aumento del budget universitario, l’aggiornamento delle pensioni e la difesa della mobilità e del fondo di emergenza per le opere sociali”.

In questo scenario, Milei e i suoi ministri continuano ad additare i dipendenti pubblici come una casta di cui combattere i privilegi. Finora però i tagli hanno colpito soprattutto sanità, istruzione e cultura: il bando per i nuovi progetti di ricerca del settore accademico è stato sospeso, e la spending review è stata estesa anche alle infrastrutture universitarie. l’Università nazionale di Comahue ha comunicato che smetterà di pagare i servizi di base come l’elettricità e il telefono, oltre a ridurre il servizio di pulizia, e a breve smetterà anche di pagare il gas. “Senza un intervento del governo saremo presto in default”, ha avvertito la rettrice Beatriz Gentile. L’8 aprile scorso dieci rettori e rettrici di università pubbliche si sono recati al Congresso, in rappresentanza del Consiglio nazionale universitario, per pretendere l’aggiornamento necessario del bilancio.

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