Dopo un anno di guerra, Khartoum è devastata. Distrutte gran parte delle abitazioni, delle infrastrutture e delle istituzioni governative. La capitale sudanese da oltre sei milioni di abitanti è allo stremo delle forze, il 70% dei suoi cittadini l’ha abbandonata per ripararsi dagli incessanti bombardamenti. Da alcune settimane, quasi tutti i quartieri sono rimasti senza elettricità né reti di telecomunicazione. Nella grande città africana martoriata dalla guerra, gli ospedali rimasti attivi si contano sulle dita di una mano. Nell’immensità del territorio sudanese, il conflitto armato si è allargato fino alla regione del Darfur a ovest e in quella centrale di Kordofan, dove si continuano a registrare ripetuti attacchi indiscriminati sulla popolazione civile. Ma la maggior parte degli scontri armati si concentra a Khartoum, trasformatasi in una città fantasma.

A causa dell’impossibilità di operare sotto i bombardamenti, Emergency è stata obbligata fin dall’inizio della guerra a chiudere il suo centro pediatrico di Mayo – uno dei tre centri pediatrici con cui l’ong è attiva nel Paese – oltre a quelli di Nyala e Port Sudan – in un campo profughi nei pressi della capitale che accoglie circa 300.000 rifugiati e dove la ong era attiva dal 2005. “Abbiamo deciso di aprire un nuovo ambulatorio pediatrico a Khartoum, all’interno del nostro centro ‘Salam’ di cardiochirurgia, nel quartiere di Soba, a sud della capitale – racconta la dottoressa Manuela Valenti, responsabile della Divisione pediatrica di Emergency – è stato un lavoro intenso, soprattutto dal punto di vista logistico, ma in due settimane siamo riusciti ad aprire il centro, già attivo dal 17 di marzo”. È difficile ottenere visti, muoversi nel Paese, e alla luce dei recenti attacchi nel Mar Rosso è complicato far arrivare i farmaci via nave, ha spiegato Valenti.

L’attività dell’ambulatorio di Khartoum – L’ambulatorio è stato organizzato a distanza coordinando le operazioni da Milano, contando sull’ottimo personale locale, molto ben addestrato sotto l’aspetto tecnico. “Dal punto di vista pratico, logistico, operativo, abbiamo una serie di liste di farmaci, a seconda del tipo di attività che andiamo ad aprire, una serie di standard per quanto riguarda gli arredamenti e gli esami di laboratorio – continua Valenti – devo dire che il personale locale è stato eccellente dal punto di vista tecnico, e il lavoro fantastico dei colleghi della logistica è stato, come sempre, immane. Non lo ricordiamo mai abbastanza, ma quando si parla di medicina, se non ci fossero loro a metterci in mano gli strumenti, noi non saremmo in grado di lavorare”.

Dopo decadi di conflitti armati interni, una dittatura quasi trentennale e una sequenza di colpi di stato, a metà aprile dello scorso anno una rivalità tra il capo dell’esercito Abdel Fattah al-Burhan e il capo delle Forze paramilitari di Supporto Rapido (RSF) Mohamad Hamdan Dagalo, è degenerata in una nuova guerra civile. In un Paese già annientato da un conflitto infinito, dodici mesi sono bastati per provocare una delle peggiori catastrofi umanitarie della storia recente, dimostra un nuovo rapporto delle Nazioni Unite. Dei 25 milioni di persone che necessitano di assistenza umanitaria, 14 milioni sono bambini. Gli sfollati interni hanno raggiunto la cifra senza precedenti di “”, i rifugiati sono oltre il milione. 700.000 bambini risultano affetti da grave deperimento e corrono un reale rischio di non sopravvivere senza le cure necessarie, mentre sono oltre tre milioni i bambini sotto i cinque anni che soffrono di malnutrizione acuta.

Malattie respiratorie, gastroenterite e malaria – Attualmente nell’ambulatorio di Emergency sono presenti due dottoresse, una medical officer e una specialista in medicina d’urgenza, mentre il pediatra è in attesa dei permessi per diventare operativo. Oltre a sei infermieri ci sono tre promoter sanitari, tutti coordinati dalla capo infermiera Jasna Sundic, veterana di Emergency presente in Sudan da alcuni anni. “Nel giro di una settimana il centro pediatrico ha triplicato il numero degli accessi, questa settimana sono stati tra i 35 e i 40 al giorno i pazienti da zero a 14 anni, – spiega Jasna Sundic – la maggior parte dei bambini è affetta da malattie respiratorie, gastroenterite e malaria. Abbiamo anche visitato alcuni bambini malnutriti a causa della mancanza di cibo”. Racconta ancora, Jasna, della mancanza di elettricità, dell’ambulatorio funzionante grazie all’utilizzo costante di generatori, del continuo fragore dei bombardamenti nel resto della città. Della vita reclusa del personale medico e paramedico di Emergency del centro Salam, circa 100 tra sudanesi e personale espatriato: medici, infermieri, farmacisti e tecnici di laboratorio. Avvezza com’è alla vita reclusa in zone di conflitto, non si lamenta del fatto di essere rinchiusa nel compound dell’ospedale dallo scorso dicembre.

“Siamo in guerra e al centro vengono persone con storie tragiche – ricorda Sundic – ci raccontano quanto sia stato difficile per loro raggiungerci. L’ultima storia che mi ha colpita, tre giorni fa. Un giovane uomo è arrivato qui con una bambina di sette mesi. Ha detto che sua moglie era stata uccisa due ore prima, in mezzo alla strada, e chiedeva informazioni su come nutrire la bambina. La madre la stava ancora allattando. Era solo, non sapeva come fare. I nostri promotori sanitari l’hanno istruito su come svezzare la bambina prendendo tutte le precauzioni igieniche. Come sempre, quando si è in guerra tutto intorno è molto triste”.

La carestia aggrava il conflitto – I costi economici della guerra minacciano di far sprofondare il Sudan in uno stato di povertà a lungo termine che potrebbe durare per generazioni. Secondo recenti rapporti dell’Onu i combattimenti hanno bloccato i trasporti del cibo e gli aiuti umanitari, mentre le due fazioni contrapposte stanno utilizzando il blocco del cibo come arma di guerra. Le attività agricole in gran parte del Paese si sono interrotte e si stima che ciò stia per provocare la più grande crisi alimentare del mondo. Una carestia che potrebbe uccidere un milione di sudanesi. Nonostante questa guerra sia lontana dai riflettori e dimenticata dalla Comunità Internazionale, si sono accertate ripetute violazioni dei crimini di guerra e del diritto umanitario internazionale. Le migliaia di persone che hanno perso la vita sono, come ormai di consueto nelle guerre recenti e attuali, in gran parte civili, con una comprovata maggioranza di donne e bambini.

L’utopia di Gino Strada – Come in tutti i progetti di Emergency, le cure mediche per i pazienti locali sono completamente gratuite, ed è ragionevole pensare che l’ambulatorio pediatrico di Khartoum avrà probabilmente già aumentato sensibilmente il numero dei suoi pazienti. Se Gino Strada fosse ancora qui, ci ricorderebbe che“Come le malattie, anche la guerra deve essere considerato un problema da risolvere e non un destino da abbracciare”. Lui, che le guerre le aveva viste bene in faccia, affermava che ‘sono tutte uguali nella loro profonda inutilità’. Nel suo ultimo, bellissimo libro Una persona alla volta, Gino Strada esprime la propria convinzione che l’unica via di uscita è l’abolizione di tutte le guerre, senza la quale questo pianeta non potrà avere un futuro: “Il cammino da percorrere è quello di abolirla, la guerra”, ha detto innumerevoli volte Gino Strada. Quando fu tacciato di essere un utopista, rispose con decisione: “Per me è un complimento, non un insulto”.

Testo di Paola Boncompagni

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