Maurizio Molinari è stato sfiduciato dalla redazione de la Repubblica e ora ci si domanda che cosa accadrà al giornale fondato da Eugenio Scalfari. La mozione è stata proposta ieri dal comitato di redazione dopo che il direttore, nella notte tra domenica e lunedì, ha deciso di mandare al macero 100mila copie di Affari&Finanza per un articolo poco gradito – poi sostituito – sui rapporti industriali tra Italia e Francia (con, ovviamente, un passaggio su Stellantis). L’esito del voto ha dimostrato che la maggior parte dei giornalisti e delle giornaliste vuole un cambio di direzione: 164 a favore, 55 contro e 35 astensioni. Ma cosa succederà, ora, a Repubblica?

Negli ultimi anni, in Italia, è successo di rado che una redazione sfiduciasse il proprio direttore. Ci sono stati tre casi, peraltro nello stesso giornale, il Sole24Ore, quando era diretto da Gianni Riotta (2011), Roberto Napoletano (2016) e Fabio Tamburini (2020). A Repubblica, manco a dirlo, fino a ieri non era mai accaduto, né nelle esperienze ventennali di Scalfari ed Ezio Mauro né in quelle più brevi di Mario Calabresi e Carlo Verdelli. Proprio l’esperienza di quest’ultimo ha segnato una prima, importante frattura all’interno della redazione: col passaggio di proprietà del gruppo Gedi dalla famiglia De Benedetti (Cir) alla famiglia Agnelli-Elkann (Exor), Verdelli viene licenziato proprio al culmine di una serie di minacce da parte di gruppi neofascisti. Da quel momento la direzione passa all’ex direttore de la Stampa, il cui editore era proprio John Elkann. Da una parte la nuova proprietà e dall’altra Molinari inaugurano una serie di iniziative malviste tanto dai giornalisti quanto dai lettori: dalla dismissione di parti fondamentali del gruppo (dai quotidiani locali fino allo storico l’Espresso) alla rinnovata linea del giornale, vicina al mondo imprenditoriale e industriale e, in politica estera, smaccatamente filo-israeliana.

Una sfilza di brutte figure da parte della direzione – dall’accusa rivolta a Zerocalcare di essere filo-Hamas ai Lanzichenecchi di Alain Elkann, dalla censura all’artista Ghali fino alla distruzione delle copie di Affari&Finanza – ha spinto il cdr a proporre la mozione di sfiducia. Documento, come detto, approvato a larga maggioranza. Il tutto fatto con la speranza di arrivare a un cambio al timone della nave. Ma è altamente improbabile che ciò accada, almeno nel breve periodo. La sfiducia, infatti, non è vincolante. In altre parole, Molinari non si deve dimettere perché lo ha stabilito la redazione. Tuttavia il parere dei giornalisti ha – o dovrebbe avere, in situazioni normali – un peso. Se non altro perché il direttore sa di non avere più il consenso dei propri giornalisti. E perché l’editore, che decide la sorte del direttore, sa che quest’ultimo non è più apprezzato all’interno della redazione.

A proposito di editore: John Elkann, da amministratore delegato di Exor, scelse proprio Molinari per guidare la Stampa, in sostituzione di Calabresi, già nel 2016. Poi, come detto, nel 2020 lo ha portato nel quotidiano più prestigioso del gruppo. Difficile, dunque, che decida di scaricarlo. A meno che non si renda conto che la perdita di copie in edicola – e in generale la gestione del giornale – abbia un impatto che va oltre il rapporto con l’attuale direttore.

Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it

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