Centomila copie mandate al macero, nella notte, per un articolo sgradito – e sostituito – sugli asset Roma-Parigi, tra cui il ruolo del governo italiano con Stellantis. È la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso e che ha portato la redazione de la Repubblica a sfiduciare il direttore Maurizio Molinari, col quale i rapporti erano deteriorati da tempo. L’inserto economico del giornale, Affari&Finanza, sarebbe dovuto uscire stamattina con un’apertura, firmata da Giovanni Pons, sui legami sbilanciati tra Italia e Francia in tema di politica industriale. Ma nella notte, quando il quotidiano era già stato stampato, le copie sono state distrutte e il pezzo di Pons sostituito con quello del vicedirettore Walter Galbiati: a cambiare sono il titolo, il catenaccio e parte del testo.

Così nel pomeriggio il comitato di redazione ha proposto la mozione di sfiducia nei confronti di Molinari. L’esito del voto dei giornalisti e delle giornaliste – seppur non vincolante – è stato schiacciante: 164 sì, 55 no e 35 astenuti. Molinari potrà restare al suo posto come successo in passato, per esempio, con Fabio Tamburini (2020), Roberto Napoletano (2016) e Gianni Riotta (2011), tutti e tre al Sole24Ore. Il grave episodio, per il quale nel primo pomeriggio è stata convocata l’assemblea con tutti i giornalisti, arriva dopo le tensioni interne sul caso Ghali, costato una figuraccia al giornale: durante il Festival di Sanremo, Molinari bloccò (questa volta un secondo prima della stampa) un’intervista all’artista Ghali – una sorta di messaggio di pace sulla guerra a Gaza – perché non conteneva nessun riferimento ad Hamas. Dopo la denuncia del Fatto, il direttore confermò in sostanza la censura, spiegando che l’intervista sarebbe uscita non appena Ghali avesse fornito una risposta in merito ad Hamas. “Un episodio grave che mina la credibilità della testata” aveva commentato il cdr.

E ora questa nuova vicenda, che mette in luce ancora una volta sia la frattura tra la redazione e la direzione sia una certa mano pesante, da parte dei piani alti del giornale fondato da Eugenio Scalfari, quando c’è da intervenire su questioni sgradite. Al centro c’è il pezzo di Pons sui rapporti industriali tra Italia e Francia, dal titolo “Affari ad alta tensione sull’asse Roma-Parigi”, modificato con “Affari ad alta tensione sul fronte Roma-Parigi”. A cambiare maggiormente è il catenaccio, la cui prima versione era “I casi Stm, Tim e la fuga di ArcelorMitta dall’Ilva riaccendono le polemiche sul rapporto sbilanciato tra Italia e Francia”. Ma si capisce che la formula “il rapporto sbilanciato” alla direzione (o all’editore, John Elkann) non è piaciuta. La nuova versione: “I casi Stm, Tim e la fuga di Arcelor dall’Ilva riaccendono le polemiche. Funzionano quando è il business a guidare”. Il succo, insomma, è: lasciate mano libera alle aziende. E infatti all’interno sparisce un intero capoverso che parla di “ribilanciare questo rapporto”, in riferimento proprio al ruolo “predatorio” di Parigi nei confronti delle aziende italiane, viste come “terre da conquistare”.

“Il direttore ha la potestà di decidere che cosa venga pubblicato o meno sul giornale che dirige – scrivono i giornalisti e le giornaliste di Repubblica, il cui cdr è composto da Zita Dazzi, Luca Pagni, Matteo Pucciarelli, Francesca Savino e Alesssandra Ziniti – ma non di intervenire a conclusione di un lavoro di ricerca, di verifica dei fatti e di confronto con le fonti da parte di un collega, soprattutto se concordato con la redazione. In questo modo viene lesa l’autonomia di ogni singolo giornalista di Repubblica e costituisce un precedente che mette in discussione, per il futuro, il valore del nostro lavoro”. L’assemblea “considera altrettanto grave che l’intervento abbia portato a bloccare la stampa del giornale, in particolare perché la direzione aveva già dato il via libera alla pubblicazione. È indice di una mancata organizzazione che espone ad arbitrarietà incontrollata il lavoro di tutti”. In più viene condannato “lo spreco di tempo e di risorse per la ristampa, in un momento in cui la redazione con l’ennesimo piano di prepensionamenti viene chiamata a nuovi sacrifici”. L’assemblea segnala anche “come l’accaduto esponga Repubblica in modo negativo di fronte ai suoi interlocutori esterni, non ultimo il fatto che per alcune ore sono circolare in rete le due aperture di Affari&Finanza, prima e dopo l’intervento della direzione. Quanto avvenuto è l’ultimo episodio di una serie di errori clamorosi originati dalle scelte della direzione che hanno messo in cattiva luce il lavoro collettivo di Repubblica. Le giornaliste e i giornalisti di Repubblica ritirano dal giornale e dal sito le proprie firme per 24 ore, firme mortificate dall’intervento della direzione e a tutela della propria dignità professionale e indipendenza”.

È l’ultimo smacco, questo, per una redazione che negli ultimi mesi fatica a digerire la linea palesemente filo-israeliana della direzione, e che solo a metà dicembre aveva deliberato cinque giorni di sciopero. Col cdr che aveva accusato Molinari e la proprietà di aver allontanato il gruppo editoriale dalla proprio identità e cultura, paragonando il giornale a “una nave abbandonata che affonda”. Pochi giorni fa sempre il comitato di redazione ha inviato alle agenzie di stampa la cronistoria della dismissione di Gedi, da quando cioè il gruppo è passato dalla famiglia De Benedetti agli Elkann: dalle cessioni de il Tirreno, la Gazzetta di Modena, la Gazzetta di Reggio e la Nuova Ferrara fino alla vendita dell’Espresso, delle sei testate del Nord-Est fino, ultimo caso, all’accordo sulla cessione de il Secolo XIX.

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