Ribellarsi è giusto e bisogna cominciare mettendo insieme i puntini, perché altrimenti il percorso si fa abbastanza buio. Da qui a un po’ di tempo, noi dobbiamo decidere se ci piace l’Ungheria o no, perché è lì che stiamo andando. Io sono un po’ presbite in politica, nella mia vita sono sempre inciampato sul corto. Ma raramente ho sbagliato sul medio-lungo. Quindi, bisogna ribellarsi di fronte alle cose che non ci piacciono, sempre nei modi pacifici e non violenti. Non ho altre ricette se non questa”. È l’invito rivolto da Pier Luigi Bersani agli studenti dell’Università di Pisa in occasione dell’incontro intitolato “Nuove generazioni e politica. Una passione da ricostruire?”, insieme alla vicedirettrice della Stampa Annalisa Cuzzocrea e al rettore Riccardo Zucchi.

L’ex segretario del Pd delinea brevemente la situazione italiana nel governo Meloni: “Se uniamo i puntini, considerando tanti episodi, compreso quello delle manganellate agli studenti di Pisa, cominciamo a vedere l’oggetto misterioso che abbiamo davanti: sul piano democratico, vediamo una specie di ribaltamento dell’idea di legalità: i rave party, la zingara incinta borseggiatrice, le azioni sugli studenti, dai manganelli al 5 in condotta a chi occupa la scuola e tutte queste cose belle qui. Dall’altro lato – continua – vediamo 17 condoni fiscali, la cancellazione dell’abuso d’ufficio e quindi anche del traffico d’influenze, una legislazione che consente di assegnare il 90% dei lavori senza gara con meccanismi di subappalti a cascata, cioè un terreno di illegalità conclamata, l’aumento della circolazione del contante. Questa è l’aria che tira. E a me – ribadisce – piacerebbe che i giovani e gli studenti unissero i puntini. Si vuole creare un’aria che sostanzialmente stringe gli spazi di contendibilità. Si sta sbeffeggiando la magistratura, si stanno attaccando tutte le autorità indipendenti, si mette mano sulla stampa e sull’informazione, come sul caso Agi. Dopodiché menare col manganello ragazze e ragazzi assolutamente pacifici è una cosa che avrebbe preteso come minimo delle scuse, che però non sono venute”.

Momenti di ilarità quando Bersani racconta i suoi primi passi di “ribelle”: “La mia esperienza politica è cominciata quando avevo 11 anni e organizzai lo sciopero dei chierichetti, cioè nel bel mezzo della funzione religiosa andammo via, naturalmente senza violenza verso il campanaro. Organizzai questo sciopero perché c’era un problema di distribuzione delle mance: non mi sembrava giusto che i chierichetti che erano ai matrimoni e ai battesimi avevano mance à gogo, mentre a quelli a cui toccavano i funerali le mance erano poche”.
Altro aneddoto simpatico è quello che l’ex ministro racconta a proposito di un suo incontro casuale ai Fori Imperiali con una studentessa di scuola media che partecipava alle proteste del movimento Fridays for Future di Greta Thunberg: “Vidi migliaia e migliaia di ragazzine e di ragazzini, una cosa incredibile. Io, senza parrucca, mi infilai nel corteo e fui fermato da una ragazzina che mi chiese: ‘Come le sembra?’. E io risposi: ‘Una meraviglia, ma peccato che non sia il ’68’. E lei: ‘Perché?’. Io: ‘Perché mi avreste fischiato’.

Bersani torna poi sulle manganellate di Pisa: “Ma perché gli studenti non devono dire quello che pensano su qualsiasi cosa, vicina o lontana? Ma pensiamo che ci siano fatti più educativi della partecipazione attiva? Lasciamo pensare questo ai barbagianni lì, che vogliono chiudere tutto. Se continuano le repressioni del dissenso giovanile, si caricherà la molla. Quattro sono le cose a cuore dei ragazzi, tutto il resto sono chiacchiere: pace, guerra, clima, disuguaglianze. L’importante è che la politica lasci aperti varchi per farli entrare, come fece Enrico Berlinguer dicendo ai giovani: ‘Entrate e cambiateci’. E poi fece sul serio. Capita una volta ogni non so quanti decenni un leader di partito come lui”.

Infine, una riflessione sul vero significato della politica: “Il compito della politica non è quello di di creare una società perfetta. Il suo compito basico è invece quello di tenere a bada la bestia che abbiamo dentro. C’è un’aggressività potenziale negli uomini che va tenuta a bada perché non la risolvono né la storia né il progresso: nei secoli bui abbiamo bruciato migliaia di streghe, nel secolo del progresso abbiamo ucciso sei milioni di ebrei. Non diciamo cazzate come “mai più”. Basta guardare in giro – continua – i livelli di brutalità e di distruzione di un minimo livello di umanità. E qui deve intervenire la politica il cui compito è domare la bestia. Non si sono trovate formule migliori della democrazia, Churchill diceva che era il peggiore dei sistemi a eccezione di tutti gli altri. Ma soprattutto – conclude – una democrazia deve consegnare alla gente la merce dell’emancipazione, cioè deve ridurre le disuguaglianze. Altrimenti, non ci stupiamo se la gente non va più a votare, perché se la democrazia non emancipa, le viene la tosse, si ammala”.

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