Un calciatore può essere un gioiello a tutti gli effetti, sì: d’altronde già a partire dai soprannomi l’accostamento a preziosi vari è comune. Pelè era la “perla nera” così come Eusebio, e poi tutto ciò che ha a che fare con l’oro dal “Pibe de Oro” al “Golden Boy” fino a la “Joya” (appunto il gioiello) quale era il portoghese Paulo Futre per primo e poi Paulo Dybala. Già, Dybala, gioiello portato in Italia dal Palermo e che nelle casse dei siciliani ha portato un sacco di soldi grazie alla sua cessione alla Juventus, ma prima di lui c’è stato un altro argentino in rosanero che ha avuto un valore di “prezioso”, ma a tutti gli effetti e non solo a livello di soprannome: si chiamava Enrique Martegani. Enrique era un attaccante nato a Buenos Aires nel 1925, aveva cominciato a giocare a calcio nel Chacarita, e poi nel Boca, nell’Estudiantes, nell’All Boys quando il pallone era davvero un gioco o poco più. Poi era partito per l’Italia, destinazione Padova: in una squadra un po’ sgangherata prima dell’avvento del paròn Rocco. È nell’estate del 1952 che Martegani diventa un vero e proprio gioiello. Sì, perché il direttore sportivo di un Palermo guidato da un gruppo di aristocratici, è uno degli uomini più affascinanti dell’epoca: Raimondo Lanza di Trabia, un nobile, diplomatico, dandy e viveur dell’epoca (è a lui che è dedicata “L’Uomo in frac” di Domenico Modugno).

Lanza amava il calcio, le auto, le donne, e forse si deve proprio a lui l’invenzione del “calciomercato” così come lo si conosce adesso. Il dettaglio, da quel che trapela dai racconti dell’epoca, è che le trattative “il Principino” le conduceva dalla vasca da bagno dell’hotel dove riceveva gli altri presidenti, rigorosamente nudo. Nudo riceveva pure i suoi allenatori, e a uno di loro che osò obiettare rispose: “Cosa pretende, che la riceva in frac?”. E dalla vasca da bagno della sua camera d’albergo, infatti, in quell’estate del 1952 esultò per aver appena acquistato Martegani, annunciandolo al suo allenatore Giuseppe “Gipo” Viani. E sì, aveva acquistato Martegani, ma non attraverso il Palermo: lo aveva acquistato personalmente proprio Trabia, e oltre a giocare in rosanero ritenendolo particolarmente avvezzo al palleggio pare lo facesse proprio esibire in quell’arte davanti agli amici, nelle serate da lui organizzate. Voleva vincere lo scudetto col suo Palermo, Lanza, lanciando la sfida all’amico Gianni Agnelli che la accolse, con scommessa 10 a 1, come raccontò in seguito la figlia di Lanza di Trabia, Raimonda.

Quel Palermo non solo non vinse lo Scudetto, ma non ci arrivò neppure vicino in realtà, salvandosi a stento nella prima stagione di permanenza di Enrique Martegani e grazie anche ai suoi gol, come quelli all’Udinese e al Torino di 71 anni fa. Non riuscì invece a salvarsi il Palermo nonostante il centravanti riuscì a migliorare il proprio bottino di reti in campionato, arrivando a 10: fatali gli spareggi con Udinese e Spal che condannarono i rosanero alla Serie B. Qualche mese più tardi, a novembre del 1954, però, Lanza di Trabia muore a soli 39 anni: forse cade dalla finestra della sua camera d’albergo a Roma, forse si suicida. Nell’eredità che lascia alla moglie, la bellissima attrice Olga Villi, c’è anche il cartellino di Enrique Martegani: un prezioso, a tutti gli effetti. Una vicenda talmente pittoresca già all’epoca che ispira una commedia teatrale: nel 1955 Garinei e Giovannini portano in scena a Torino “La padrona di Raggio di Luna”. Raggio di Luna, in realtà, era il soprannome dell’attaccante svedese Arne Selmosson, in quel momento calciatore molto popolare, ma la vicenda è quella di Martegani e della sua “padrona”, Olga Villi. Di fatto Enrique passa alla Lazio, giocando poco e senza acuti, per poi tornare in Argentina, senza padroni e senza palleggi nelle feste in giardino.

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