Inverni più brevi, siccitosi e caldi, caratterizzati da eventi estremi sempre più frequenti. Se la montagna è l’area che più di tutte sta subendo gli effetti dei cambiamenti climatici, chi la vive è il primo a doverci fare i conti. O, quanto meno, dovrebbe. Corre l’obbligo del condizionale se si parla di sport invernali, un carrozzone che muove interessi, milioni di appassionati, atleti. E, naturalmente, soldi. E se l’immagine con cui (non) si è aperta la stagione agonistica delle discipline veloci dello sci alpino, cioè le ruspe impegnate a triturare un ghiacciaio già in sofferenza – quello del Teodulo – a 3mila metri di quota, fanno già parte del triste archivio della nostra memoria storica, con un inaspettato comunicato i vertici della Fis (chi organizza le gare) hanno deciso la scorsa settimana che lassù, gli atleti, non dovranno più andare. Nonostante un contratto in essere, valido ancora per due stagioni. La domanda, allora, è: chi muove la grande macchina degli sport invernali – dagli sponsor agli organizzatori fino agli atleti – si sta adattando ai cambiamenti climatici? Mai come quest’anno – il trend è in corso da qualche stagione, per la verità – gli sportivi sono stati “vittime” della crisi climatica, tra gare cancellate (21 su 90 nello sci alpino: il 23,3%), infortuni causati dai recuperi ravvicinati e manche falsate da condizioni proibitive. Ma la risposta è complessa. Spoiler: non cercatela dal campione norvegese Henrik Kristoffersen, che per poco non picchia un’attivista per il clima che aveva protestato durante la gara di Gurgl, in Austria.

Il caso Cervinia e la stagione calda e senza neve – Per la sua natura a subire – più delle altre discipline – le mutate condizioni ambientali è lo sci alpino. Il primo grande fallimento va in scena a inizio novembre a Zermatt-Cervinia. Nel 2022 a fermare lo “Speed Opening” era stata la siccità, l’anno scorso le nevicate e il forte vento, condizioni frequenti in quelle zone. Alcuni atleti, come i francesi Clarey e Pinturault, si erano già espressi: “Questa prova, dal punto di vista ecologico, non ha alcun senso“. E ora anche la Fis (Federazione internazionale sci e snowboard) alza bandiera bianca: il progetto milionario (in parte coperto da soldi pubblici) non ha mai visto la luce, restano solo i danni per l’ambiente.

Nel corso della stagione capita spesso di avere una lingua bianca artificiale in mezzo al verde. Come il 27 e 28 gennaio a GarmischPartenkirchen, quando le gare di SuperG maschile si svolgono su una neve definita “morta” (foto a sinistra, ndr). Le gare vengono cancellate solo quanto le condizioni diventano troppo pericolose. Come a Chamonix, dove a inizio febbraio il caldo ha portato ad annullare la discesa libera. Lo slalom speciale però viene confermato e lo vince a sorpresa Daniel Yule. Lo svizzero, 30esimo e ultimo dei qualificati dopo la prima manche, riesce per la prima volta nella storia della disciplina a rimontare fino alla vittoria. La prova di Yule però viene nettamente favorita dal caldo anomalo. La seconda manche si disputa su neve che assomiglia a farina. Complice anche la bassa altitudine del pendio (l’arrivo è sotto i mille metri), gli ultimi sciatori a scendere – i migliori della prima manche – si ritrovano praticamente a fare sci nautico.

“Gare anomale o cancellate ci sono state anche in altre discipline – dice Massimiliano Ambesi, giornalista e tra le voci più autorevoli in Italia quando si parla di sport invernali – tuttavia chi ha messo a punto un buon calendario ha avuto meno problemi, come nel caso dello sci di fondo. La difficoltà nell’adattamento, al momento, non è così enorme come si vorrebbe far passare. Basta avere la libertà di fare scelte corrette, ovvero creare un calendario che abbia una logica. Gli organizzatori devono ragionare partendo dal cambiamento climatico a cui stiamo assistendo. Un esempio? Che senso ha aprire la stagione su un ghiacciaio (Solden, ndr) a ottobre? All’esterno mandi anche un brutto messaggio, del tipo: non ce ne frega nulla del clima che cambia. Il calendario deve partire a metà novembre e finire a metà marzo: si inizia in America e si aggiunge un fine settimana di gare, poi si torna in Europa e se ci sono tappe a rischio, si collocano quando la probabilità di avere neve è maggiore. A marzo, infine, si va in Scandinavia, dove le condizioni permettono di correre”.

Quando si scia ma piove – Quello di Chamonix d’altronde non è più un caso isolato. Il calendario della Coppa del Mondo di sci prevede diverse gare, specialmente di slalom, che si concludono nei centri abitati a bassa quota. Eventi in alcuni casi storici, come Schladming, che tuttavia il cambiamento climatico sta rendendo anacronistici. Proprio lo slalom austriaco in notturna sulla Planai (siamo poco sopra i 700 metri) si corre il 24 gennaio sotto una pioggia battente. Alle ore 18 ci sono 6-7 gradi in pista, mentre al traguardo gli spettatori hanno gli ombrelli aperti. Una cornice teoricamente irrituale, ormai sempre più frequente. Basta pensare a Lienz (arrivo ad appena 680 metri) o a Kranjska Gora, dove la Coppa del Mondo è di casa dal 1985 e dove quest’anno le donne hanno sciato sotto la pioggia e gli uomini non sono nemmeno scesi. “Cancellare queste località dal circuito e fare le gare altrove? Non è così semplice – riflette Ambesi – al netto dell’aspetto legato agli sponsor, ci sono ragioni di carattere strutturale. I comprensori che ospitano le gare di Coppa del Mondo devono garantire, oltre alle piste idonee, spazi di un certo tipo, strutture, alberghi”.

L’impegno di Pow: il cambiamento arriva “dal basso” – Lo scorso anno 147 atleti di tutti gli sport invernali hanno inviato una lettera alla Fis per chiedere maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale, indicando per punti alcuni aspetti che la Federazione dovrebbe tenere in considerazione, come la riduzione del 50% delle emissioni entro il 2030. Tra i promotori della lettera ci sono le campionesse statunitensi Mikaela Shiffrin (sci alpino) e Jessie Diggins (sci di fondo), il norvegese Aleksander Aamodt Kilde (alpino), Arianna Tricomi (freestyle) e Xavier de le Rue (snowboard). Per l’Italia, Federica Brignone e Marta Bassino. Attualmente l’iniziativa è supportata da 420 atleti. “Le atlete e gli atleti possono diventare gli amplificatori del messaggio di tutela dell’ambiente. Sono le persone che per prime devono essere consapevoli che il luogo in cui praticano la loro attività è in pericolo. E che loro sono parte del problema“. A parlare è Sofia Farina, presidente di Pow Italia. Pow (Protect our winters) è l’associazione che sta dietro alla lettera inviata alla Fis e si rivolge agli sportivi dell’outdoor perché siano loro i primi a cambiare le cose. “L’obiettivo è avere una comunità forte, sensibile, che spinga la politica ad adottare leggi per la tutela dell’ambiente – continua Farina – d’altra parte è evidente come sia diventato impensabile organizzare le gare in montagna come si faceva in passato. Se il cambiamento non avverrà dal punto di vista ecologico, ci penserà l’insostenibilità economica a farlo. Gli effetti sono già davanti ai nostri occhi, dobbiamo adattarci a una nuova idea di sport invernali”.

Il conto: gli infortuni – E c’è un aspetto controproducente che riguarda proprio gli atleti. A gennaio a Jasna (in Slovenia), per esempio, il gigante femminile si disputa nonostante la pioggia e una barratura che rendono la neve quasi impossibile da gestire. Proprio durante quel gigante si fa male la campionessa slovacca Petra Vlhova. Rottura del crociato e stagione finita. La Coppa del Mondo di sci funestata dal record di gare cancellate è stata anche una stagione segnata dai tantissimi infortuni. In campo femminile è un’ecatombe: oltre alla già citata Vlhova, tra le atlete di punta si infortunano gravemente Grenier, Suter, Ortlieb, Tviberg, Holdener, Haehlen e l’azzurra Curtoni. Senza dimenticare ovviamente Sofia Goggia, che rimedia la frattura della tibia in allenamento. In campo maschile, invece, gli infortuni eliminano uno dopo l’altro molti dei protagonisti: da Pinturault a Schwarz fino a Kilde. Proprio la spaventosa caduta del norvegese nella discesa libera di Wengen (nella foto a destra) porta gli atleti a uscire allo scoperto, polemizzando per un calendario troppo denso. “Con un programma del genere il rischio di cadere per stanchezza è alto”, dichiara Dominik Paris proprio da Wengen. Anche Brignone si espone: “Penso che il calendario sia troppo fitto, sempre con 3 gare a settimana. Mi sembra un richiesta eccessiva a livello fisico”.

Non è un caso che la nazionale norvegese di sci alpino abbia pubblicato quest’anno un report dal titolo esplicativo, Change the Course – for a better World Cup. Si tratta di un documento – all’avanguardia per il mondo degli sport invernali – che mette al centro proprio i cambiamenti climatici e propone una serie di strategie “per ridurre l’impronta di carbonio delle squadre di sci alpino e contribuire a un futuro più sostenibile per lo sport”, sottolineando come “molti atleti sono a disagio per il fatto di essere responsabili dell’emissione di grandi quantità di gas serra” e ora “sono determinati ad agire per ridurre il proprio contributo al riscaldamento globale”. Il report mostra l’impatto delle atlete e degli atleti e come, attraverso una serie di misure, le emissioni possano essere ridotte (del 29% per gli uomini e del 14% per le donne). Come? Modificando il calendario della Coppa del mondo, riducendo gli spostamenti in aereo, incentivando la mobilità in treno e auto, ripensando i luoghi degli allenamenti e creando un processo di selezione trasparente per gli organizzatori di eventi con la priorità della tutela dell’ambiente.

Non solo sci: il biathlon in mezzo ai prati – Se per lo sci alpino – la disciplina simbolo degli sport invernali – è stato un anno nero, anche le altre non se la passano meglio. L’appuntamento della Coppa del Mondo di biathlon a Oberhof, in Germania, è uno dei più sentiti e partecipati del Circo Bianco. Quest’anno è stato almeno visivamente uno spettacolo deprimente, nel quale il verde e il marrone hanno prevalso nettamente sul bianco (vedi foto in basso). È la stessa cartolina arrivata da Nove Mesto, dove a febbraio si sono svolti Mondiali di biathlon: gli ingredienti principali della vigilia sono stati pioggia e temperature altissime. A metà rassegna la neve è stata recuperata altrove e trasportata in pista. Nove Mesto si trova a 600 metri di altitudine, Oberhof a 800: sono località storiche per le discipline dello sci nordico, ma rischiano lentamente di scomparire dalla Coppa del Mondo. Per effetto del cambiamento climatico.

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