Con il conteggio delle vittime che ha superato le 140, quello alla Crocus City Hall di Mosca è il più grave attentato realizzato all’interno della Federazione Russa, ad esclusione di quelli di venti e ventidue anni fa, in una scuola di Beslan (oltre 300 vittime), in Ossezia del nord, e al Teatro Dubrovka, sempre nella Capitale russa (160 morti). Il massacro compiuto dai terroristi di nazionalità tagika – Dalerdzhon Mirzoyev, Saidakrami Murodali Rachabalizoda, Shamsidin Fariduni e Muhammadsobir Fayzov – è stato quasi immediatamente rivendicato dallo Stato Islamico e nella fattispecie dalla principale branca in Asia centrale, nota come Isis-K, cioè quella che si riferisce alla regione storica del Khorasan. Le ragioni che hanno spinto l’Isis-k ad organizzare un attentato a Mosca sono essenzialmente tre, come spiega a Ilfattoquotidiano.it Claudio Bertolotti, direttore dell’Osservatorio sul Radicalismo e il contrasto al Terrorismo (REACT).

“In primis, il ruolo giocato dalla Russia in Siria, a sostegno di Bashar Al Assad e in contrasto al jihadismo insurrezionale, di cui l’Isis è il rappresentante principale; in secondo luogo, il ruolo giocato dalla Russia nell’area africana e subsahariana, specialmente in Mali e Burkina Faso, dove in particolare il Gruppo Wagner è attivo anche in funzione anti-jihadista”, commenta Bertolotti insistendo sulla postura “vendicativa” dell’Isis. La terza, forse meno nota, è quella che secondo Bertolotti fa riferimento al “dialogo che Mosca ha messo in piedi e intensificato dal 2021 con il regime dei Talebani in Afghanistan che oggi, come forza di governo e non più come gruppo insurrezionale, si trovano nel ruolo di obiettivo primario dello stesso Stato Islamico che li accusa di aver in un certo senso tradito la causa jihadista“.

Tenendo conto dell’afflato vendicativo dell’Isis, anche l’Europa adesso teme che il gruppo jihadista sia di nuovo in grado di sferrare attacchi coordinati e studiati, oltre a quelli compiuti in questi anni dai cosiddetti lupi solitari: “Il terrorismo è una minaccia che, per propria natura, è imprevedibile”, spiega Bertolotti. Ma secondo l’esperto questo rischio esisteva già da tempo e l’attentato al Crocus City Hall di Mosca ne è solo un’ulteriore conferma: “L’evento in Russia non aumenta il rischio di attentati in Europa, ma ne conferma la concreta possibilità. Più che di attacchi strutturati con nuclei di terroristi coordinati sul campo, dobbiamo temere gli atti emulativi che normalmente si associano ai grandi eventi spettacolari. In molti Paesi europei siamo a rischio saturazione, ossia gli strumenti di prevenzione e contrasto fanno fatica a seguire tutti i potenziali terroristi, che sono una minima parte dei radicalizzati jihadisti, e per forza di cose tralasciano una parte dei soggetti a rischio”.

L’Isis aveva portato avanti la sua vendetta già con gli attentati a Kerman, in Iran (partner russo, anche e non solo in Siria), lo scorso gennaio. Quanto accaduto a Mosca, prevedibilmente, ha risvegliato i timori di attacchi terroristici in Europa, in parte connessi alla possibile rinnovata volontà e capacità dell’internazionale jihadista di focalizzarsi sul terrorismo in Occidente, a svantaggio delle battaglie territoriali. “Oggi ci troviamo di fronte ad un fenomeno posteriore allo Stato islamico territoriale che non esiste più nella forma che aveva fino all’incirca al 2018 – spiega ancora Bertolotti -, ma esistono forme di controllo territoriale sparse in tutto il Medio Oriente, l’Africa e il sud-est asiatico, con la presenza di gruppi che si riconoscono nell’Isis e che cercano di erodere il controllo statale su alcune aree, governandole con l’imposizione della Shari’a“.

Nonostante dalla dissoluzione dello Stato Islamico in Siria e Iraq gli attentati – in particolare contro musulmani in Africa e Medioriente – non siano mai venuti meno, ora i fatti di Mosca hanno riacceso l’allerta in Europa, alimentata anche dalle stesse dichiarazioni di Macron circa “alcuni tentativi sventati” proprio in Francia. “Gli attentati in Europa si sono stabilizzati sui circa 15 all’anno, talvolta meramente emulativi o in un certo senso secondari, spesso fallimentari, ma che hanno avuto l’effetto di tenere comunque alta l’attenzione su questa dimensione, anche se l’Isis ha preso a rivendicare soltanto gli attacchi riusciti, cioè quelli che riescono a produrre un certo numero di vittime”, aggiunge il direttore dell’Osservatorio. Molti paesi occidentali, quindi, si sono dotati dal 2015 di una serie di strumenti per la lotta al terrorismo, coerentemente con l’indirizzo dato dal Parlamento europeo che ha adottato una definizione di terrorismo che tiene maggiormente conto degli effetti concreti, di violenza manifesta, anziché degli aspetti ideologico-religiosi.

“È un approccio corretto, ma il problema è che se alcuni Paesi hanno declinato questo indirizzo con l’adozione di leggi nazionali, altri lo hanno fatto in modo parziale”, spiega Bertolotti. “Ad esempio l’Italia, che fino al 2015 era all’avanguardia in termini di strumenti legislativi per il contrasto al terrorismo, stranamente non è riuscita in due legislature ad approvare una legge per la prevenzione ed il contrasto del terrorismo che non fosse una mera applicazione di quanto già in essere, cioè un’azione sul piano strettamente securitario“. Un grande limite, che richiama però anche quello che Bertolotti definisce un grande vantaggio, cioè il fatto che l’Italia a differenza di altri Paesi come la Francia, il Belgio e il Regno Unito “ha anzitutto un numero inferiore di potenziali terroristi che più spesso sono di prima generazione, per i quali si può più facilmente applicare l’istituto dell’espulsione coatta“.

Nel rendere pubblici i rischi che anche la stessa Francia ha corso in questi ultimi tempi, infine, il presidente francese Emmanuel Macron ha anche fatto sapere di aver proposto una maggiore collaborazione agli stessi servizi russi, nonché ai partner regionali francesi. “Un rapporto di collaborazione sull’antiterrorismo tra i due blocchi (russo e americano, ndr), in realtà, non è mai venuto meno, lasciando aperti diversi canali di comunicazione”, chiosa Bertolotti.

All’indomani dell’attentato della Crocus City Hall, alcune critiche erano state avanzate sulla presunta scarsa attenzione russa nei confronti degli avvertimenti e degli allarmi terrorismo lanciati dall’Occidente, e da Washington in primis. “Non sono così convinto, credo al contrario che Mosca abbia preso in considerazione gli avvertimenti dell’intelligence americana ma che l’organizzazione minimalistica dei quattro terroristi, associata alle dimensioni del territorio russo, abbiano reso possibile questa operazione violando le maglie della sicurezza della Federazione”, conclude Bertolotti. “Una prova l’abbiamo avuta poche settimane fa quando appartenenti alla stessa cellula sono stati arrestati, denotando una capacità russa di prevenzione e contrasto”. Che però, come in altre occasioni, fa meno “notizia” rispetto a quando questi attentati vanno a segno.

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