di Pasquale Aiello

In un mondo parallelo, dove le leggi vengono scritte dai “Ponzio Pilato”, emerge una curiosa vicenda. Le piattaforme digitali, quei colossi che regnano sul regno di Internet con la grazia di un elefante in una cristalleria, hanno deciso che giocare a “facciamo finta di non essere datori di lavoro” è lo sport del secolo. E chi siamo noi per giudicare? Dopotutto, il gioco del “nascondino contrattuale” ha sempre avuto il suo fascino, specialmente quando si tratta di eludere responsabilità.

Immaginate la scena: un esercito di lavoratori connessi, armati fino ai denti di smartphone e laptop, pronti a consegnare il tuo cibo preferito o a guidarti nella giungla urbana. Questi moderni cavalieri dell’economia digitale vengono però colti da un dubbio esistenziale: “Siamo dipendenti o semplici freelance che amano farsi sfruttare con un sorriso?”.

Ecco quindi che, come in ogni buona favola che si rispetti, arriva il principe azzurro sotto le spoglie… dell’Unione Europea! Sì, proprio lei, armata di direttive e regolamenti, pronta a dire alle piattaforme digitali che il gioco è finito. “Ma no, cari miei,” dice l’Ue, agitando il dito indice, “se sembra un’anatra, cammina come un’anatra e fa l’anatra, probabilmente è un rapporto di lavoro.”

Le piattaforme, ovviamente, non si danno per vinte. “Dimostrare che non è un rapporto di lavoro? Facile come rubare le caramelle a un bambino”, affermano, ignare del fatto che il bambino in questione è cresciuto ed è diventato avvocato specializzato in diritto del lavoro. La sfida è lanciata: se riescono a dimostrare che il loro “controllo” sui lavoratori è più un gentile incoraggiamento, tipo “per favore, consegna questo pacchetto, se ti va”, allora possono continuare a regnare sovrani sul loro impero digitale senza preoccuparsi di diritti e tutele.

Ma attenzione, care piattaforme: l’Ue non è l’unica a guardare. Anche i lavoratori hanno cominciato a capire che il gioco del nascondino ha le sue falle, soprattutto quando alla fine del mese scoprono che le uniche monete nel loro gruzzolo digitale sono “like” e “feedback positivi”.

Mentre le piattaforme digitali continuano a danzare sul filo dell’ambiguità contrattuale, il mondo osserva, attendendo il prossimo episodio di questa saga. Riusciranno le piattaforme a evitare le responsabilità con un astuto schivare? O sarà l’Ue a ridere per ultima, decretando che, in fondo, se gestisci il lavoro di qualcuno, forse, giusto forse, sei un datore di lavoro?
Agli Stati membri l’ardua sentenza.

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