“Un soprannome? Mi chiamano El Tigre, ma non so… preferisco Mateo Retegui”. Tono basso, riservatezza totale. Gli è bastata una frase così per farsi conoscere in estate. E far capire che tipo sia davvero. Anche perché il suo è forse un caso più unico che raro: in Italia, il nome di Retegui si è conosciuto perché è stato prima convocato in Nazionale (era un anno fa: marzo 2023, giocava ancora nel Tigre in Argentina), poi, con calma, perché è emerso in un club. Anzi, sta emergendo: nel Genoa, che lo ha acquistato in estate, ha segnato per ora 6 gol in 22 partite. Alcune le ha saltate per infortunio. Giovedì 21 marzo, contro il Venezuela, ha realizzato una doppietta con la maglia azzurra. Diventando forse l’unica speranza per l’attacco del ct Luciano Spalletti.

Con la nazionale, il feeling sembra essere bello forte: 4 gol in 5 partite. L’ex ct Roberto Mancini aveva intuito potesse essere una speranza. Spalletti lo ha confermato. I tifosi, poi, lo vedono come reale alternativa a un Ciro Immobile troppo sotto tono (l’ha detto lo stesso ct qualche giorno fa) per poter essere affidabile. E lui? Potrebbe volare. Ma non parla, resta sempre silenzioso. Con quella borraccia di mate sempre in mano che lo accompagna prima e dopo allenamenti e partite, sia a Coverciano, sia a Genova. Una città che sta imparando ad amare.

Quando è arrivato in estate, i tifosi erano impazziti per lui: la presentazione era avvenuta in una piazza De Ferrari chiusa al traffico, piena di gente, con fumogeni e cori. Retegui si era presentato con una sciarpa e le mani al cielo per salutare una città che lo accoglieva con un’aspettativa altissima. Non facile da gestire. Anche perché per lui il Genoa aveva pagato 15 milioni di euro dal Tigre: una cifra importante per una neopromossa che credeva, e crede ancora, nelle qualità del giocatore.

Da quel giorno, da quel bagno di folla, Retegui si è messo a lavorare. E non ha più smesso. Foto sui social? Solo di campo. Foto in giro per la città? Nessuna. Ha scelto di vivere ai margini, per mantenere tutta la sua riservatezza. Prende lezioni di italiano, prova a ricostruire le sue origini che, curiosità, sono proprio liguri: il suo trisavolo paterno era di Sestri Levante ed era emigrato in Argentina negli anni ‘50. Mateo, che di anni ne ha 24, ha sempre amato praticare sport: la sua famiglia è famosa per l’hockey su prato (il padre era anche ct della nazionale argentina), lui preferisce il calcio. I suoi idoli? Kane e Haaland. Lautaro? “Sì, molto forte, ma preferisco comunque altri…” aveva detto in una delle sue prime interviste. Sangue argentino e italiano, grinta e determinazione.

Ma non voglia di apparire. Gli piace vivere la famiglia: ha chiesto alla sorella Micaela di seguirlo in Italia. Anche lei in Argentina è nota per l’hockey e continua a praticarlo anche qui. A proposito, ogni gol segnato da Mateo viene dedicato a Micaela. Un legame fortissimo, come quello che si sta costruendo con la Nazionale e con il Genoa. Sentirsi a casa così non è per tutti, ma è uno spot che può aprire a un’Italia sempre più oriunda, alla ricerca di talenti che non riesce a produrre più in casa. Ma questo, purtroppo, è tutto un altro tema.

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