La deforestazione avanza, nonostante in Amazzonia si sia appena registrato il tasso più basso degli ultimi sei anni. L’Unione europea ha messo sul tavolo due regolamenti sul tema, uno proprio sulle importazioni di materie prime che alimentano quella deforestazione. Un regolamento contro cui si ribellano le concerie italiane, preoccupate per le nuove regole sulla tracciabilità delle materie prime importate e che rischia di concentrarsi solo sull’Amazzonia, mentre la devastazione è in atto nel vicino Cerrado, nel Borneo indonesiano e in tante altre foreste. In occasione della Giornata internazionale delle foreste, Ispra ricorda che oggi queste si estendono su circa 4,1 miliardi di ettari, una superficie pari al 31% delle terre emerse del pianeta, ma che dal 1990 a oggi è diminuita di 178 milioni di ettari, registrando un calo del 4,2%. Anche quelle europee soffrono, alcune distrutte legalmente e illegalmente da aziende pubbliche e private per la vendita di legname, altre a causa delle pratiche intensive di gestione forestale industriale. Pratiche di selvicoltura che incidono su diversità vegetale e animale e indeboliscono la resilienza delle foreste rispetto a incendi, parassiti e tempeste. E in Italia? Il settore delle foreste è uno di quelli a cui si dà più spazio negli interventi del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Ma, sebbene le foreste si estendano su oltre 11 milioni di ettari, valore raddoppiato negli ultimi 50 anni, la stessa Ispra indica problematiche molto simili a quelle di altri Paesi Ue.

Le foreste in Italia – Dal 1985 al 2015, in particolare, le foreste hanno registrato un incremento del 28% e il settore è tra quelli in cui sono previste più misure del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (35 misure, 15 soft, 17 green e 3 grey). “La percentuale di territorio coperta da boschi ha raggiunto il 37% – spiega Ispra – valore superiore a quello dei paesi ‘tradizionalmente’ forestali come Germania e Svizzera, entrambe al 31%”. Una crescita, ricorda Confagricoltura, che non è frutto di specifiche politiche attive di rimboschimento, ma dell’abbandono di attività primarie e dello spopolamento di aree montane e collinari. Di fatto, alcune tipologie forestali si stanno riducendo. Sono divenuti molto frammentati e rari i boschi ripari e igrofili “così come le foreste vetuste e preziose formazioni forestali di pianura – spiega Ispra – sempre più compromesse, destrutturate e ridotte in estensione, minacciate dagli incendi, dall’edilizia e dalle infrastrutture”. I fattori di pressione sono diversi: “La trasformazione d’uso di aree forestali a causa dell’espansione delle aree urbane e delle infrastrutture, le attività forestali non sostenibili e gli incendi” spiega Ispra, sottolineando che cambiamento climatico, inquinamento di aria, acqua e suolo, diffusione di specie aliene invasive ed eventi estremi connessi ai cambiamenti climatici sono altri elementi di disturbo, così come il bracconaggio e la caccia.

L’Europa tra gestione forestale industriale e regolamenti virtuosi – Problemi simili a quelli di altri Paesi europei. Nei mesi scorsi, un’indagine di Greenpeace Repubblica Ceca ha mostrato come le antiche foreste nel cuore dell’Europa vengano distrutte per la vendita di legname e di prodotti derivati a diversi Paesi Ue, Italia compresa. È ciò che accade alle foreste vetuste dei Monti Metalliferi, catena montuosa al confine tra Repubblica Ceca e Germania, e della Foresta di Ždánice, geologicamente parte dei Carpazi. E, inoltre, quasi un terzo delle foreste europee è costituito da un solo tipo di specie arboree, principalmente conifere. Il risultato? “Rischia l’estinzione più della metà degli alberi endemici europei, quelli che non esistono da nessun’altra parte sulla terra come l’iconico ippocastano, il frassino europeo e il sorbo, mentre le foreste primarie e secolari all’interno dell’Ue sono di dimensioni limitate, scarse, esistono solo in sacche frammentate e costituiscono ormai meno del 3% della superficie forestale dell’Unione”. Anche questi aspetti rientrano nel regolamento sul Ripristino della natura approvato dall’Ue che, finora, ha giocato un ruolo importante nella deforestazione. Per ridurre le sue responsabilità ha approvato il regolamento sulla deforestazione zero (Eudr), che obbliga le aziende dei Paesi membri a mostrare che non contribuiscono al suo aumento prodotti importati e immessi sul mercato come olio di palma, carni bovine, soia, caffè, cacao, legname, gomma e prodotti derivati. Ma il problema non riguarda solo l’Amazzonia che, ricorda il Wwf, immagazzina oltre 75 miliardi di tonnellate di carbonio (il totale nelle foreste mondiali è a 662 miliardi di tonnellate). Basti pensare all’incremento della perdita di vegetazione nella regione del vicino Cerrado. Tanto che nei giorni scorsi, a Bruxelles, una delegazione dell’Articolazione dei popoli indigeni del Brasile, ha chiesto all’Ue proprio di dare la dovuta attenzione nell’applicazione del regolamento anche al secondo bioma più importante del Brasile. Nel frattempo, hanno espresso preoccupazione i vertici dell’Unic-Concerie italiane, appoggiati dal ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, temendo che le nuove regole di tracciabilità danneggino un settore che conta oltre mille aziende. D’altronde l’Ue è responsabile del 16% della deforestazione globale associata al commercio internazionale di materie prime ed è secondo importatore al mondo dopo la Cina. “I consumi dei cittadini italiani – ricorda il Wwf – causano ogni anno 36mila ettari di foreste distrutte, due volte la città di Milano”.

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